Tratto da:
Libero
- Venerdì 5 settembre 2003
Panni
sporchi dei “Mille” nella
posta dei loro sponsor
di GRANFRANCO MORRA
Mai parlar male di Garibaldi. Modello di eroismo e generosità,
disinteresse e altro.
Conquistò un regno e si ritirò a Caprera. Con mille
uomini vinse un esercito di 25.000. Per tutta la vita combatté
per gli oppressi. Sempre raffigurato biondo e a cavallo, "con la
camicia rossa e i pantaloni turchini", come dice 1 Inno a lui dedicato.
Ogni suo gesto era " sacro", come quando, in un vagone ferroviario
circondato da ammiratori, dovette fare pipì: «Celatosi per
un momento, ricomparve in mezzo a tutti,calmo e bonario», come
riportò un giornale.
Le lapidi e le vie a lui dedicate sono migliaia. " Eroe dei due mondi",
come si intitolerà il film televisivo che tra pochi giorni la
Rai metterà in onda (teniamo pronto il fazzoletto). La storia,
come sempre scritta dai vincitori, ci ha consegnato questo
cliché oleografico, utile per a retorica risorgimentale, ma
inautentico e artefatto. Che alcune opere revisioniste hanno messo in
dubbio. Non capovolto.
In un paese di briganti romantici come l'Italia, figure come quella di
Garibaldi non possono che entusiasmare. Così come entusiasma la
figura di Anita, che Garibaldi vide dalla nave mentre lavorava sul
molo, seguì sino alla sua casa e strappò al marito:
«Vidi quella giovane. Tu sarai mia! La legge del contrappasso
rimetterà le cose a posto: nel 1860 Garibaldi era fidanzato con
una giovane comasca. Cadendo da cavallo s'era fratturato una gamba, ed
era costretto al letto, non immobile, dato che Giuseppina andava a
confortarlo: «Non potevo trovare luogo più adatto per
curare la ferita». Ma dovette rinunciare alle nozze,
perché la ragazza era incinta. Non dì lui, ma per fortuna
di un garibaldino, sempre in famiglia, dunque. Meglio allora partire
per le Due Sicilie.
I 1056 uomini che lo accompagnarono erano, come sempre succede in
questi casi, una mescolanza dì eroi e di mariuoli. Basterebbe
pensare al colonnello Nino Bixio, che si rese responsabile della morte,
anche per sua mano, di 700 siciliani, anche con fucilazioni di massa.
Ma la spedizione venne organizzata da Cavour stesso, che apertamente la
condannava e di fatto la sosteneva con armi e danari. L'Inghilterra,
che aveva forti interessi economici in Sicilia, appoggiò la
spedizione. La mafia dette un contributo importante. Il meridione
andò a Vittorio Emanuele Il, che del deposto Francesco Il di
Borbone, figlio di Maria Cristina di Savoia, era cugino. Grande
avventuriero, Garibaldi era un pessimo organizzatore e politico. Seppe
conquistare e anche distruggere un regno, ma lo lasciò nel caos
e nell'anarchia.
Cose note, che oggi trovano una
conferma in una insolita ricerca, opera
della storica Anna Pellicciari: "I panni sporchi dei Mille” (Liberal
Edizioni). Insolita perché a parlar male dei Mille non
sono i
cattolici e i borbonici, ma tre personaggi che ebbero un ruolo di primo
piano per il successo della spedizione: Giuseppe la Farina, Carlo
Pellion di Persano e Pier Carlo Boggio. I loro diari e le loro lettere
ci mostrano i danni materiali e sociali prodotti dai garibaldini. Essi
non li attribuiscono à Garibaldi, che per loro resta un santo
(sia pure laico e massonico), ma ai suoi cattivi consiglieri e
aiutanti, come Callimaco Zámbianchi, Francesco Crispi o Agostino
Bertani.
La Farina, inviato in Sicilia dal Cavour per sorvegliare Garibaldi, nei
suoi dispacci informa il governo piemontese che ogni ricchezza pubblica
e privata è stata saccheggiata, che i detenuti comuni sono stati
liberati e assorbiti nell'esercito: «Il governo di Garibaldi
è la negazione di ogni governo». Il
disordine pubblico era v ut totale, con continue =dette e
stragi da guerra civile: «gli ammazzamenti seguono in
proporzioni spaventose; nel la stessa Palermo in due giorni
quattro persone sono state fatte a brani». Lo
chiamavano Dittatore, ma non sapeva né comandare
né organizzare: à bricconi più
svergognati, gli usciti di galera per furti e per
ammazzamenti sono compensati con impieghi e con gradi
militari; la sventurata Sicilia è caduta in mano di una banda di
Vandali».
Non meno preoccupato del La Farina è il Persano. Uomo davvero
modesto, fu mandato in Sicilia dal Cavour per proteggere Garibaldi,
aiutarlo con uomini e armi, corrompere i quadri dell'esercito e della
marina borbonica. Attese anni prima di rivelare ciò che sapeva
sui garibaldini, lo fece solo quando, dopo la sconfitta di Lissa, venne
messo in disparte. 1 suoi giudizi erano cosi duri, che nel 1865 Massimo
d'Azeglio gli aveva chiesto di non farli conoscere, per non denigrare
la nobile epopea del risorgimento. Persano, infatti, mostra che la
vittoria dei Mille fu dovuto soprattutto alla corruzione e al
tradimento, a partire dal ministro dell'interno, borbonico, Liborio
Romano, che faceva il doppio gioco.
La classe borghese dell'isola
comprese che l'entrata della Sicilia nel nuovo Regno avrebbe portato
alla spoliazione di tutti i beni ecclesiasti ed alla loro vendita
sottocosto, e ne approfittò.
Il terzo autore antologizzato dalla Pellicciari, Pier Carlo Boggio, di
forte fede monarchica, assiste al tentativo di Garibaldi di non
consentire l'annessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte. Ma
Boggio stima troppo Garibaldi per pensare che sia proprio lui a non
volerlo. Getta dunque la colpa su coloro che lo circondano. E si
rivolge a Garibaldi per convincerlo a consentire i plebisciti di unione
all'Italia. E qui, con singolare paradosso, usa come strumento di
persuasione il ricordo di quanto Cavour ha fatto per i Mille:
«Non ti ricordi che sei arrivato a Napoli senza colpo ferire solo
grazie alla corruzione sistematica realizzata dagli emissari di Cavour
con i soldi piemontesi e inglesi?». Ma in tal modo l'eroe non ci
fa proprio una bella figura.
La spedizione dei Mille fu dunque un evento preparato di nascosto da
Cavour, che contemporaneamente si presentava all'opinione pubblica
moderata come l'unica salvezza dalla rivoluzione mazziniana: «Se
la diplomazia fu impotente (scriveva Cavour al Rattazzi nel 1856),
ricorriamo a mezzi extralegali, estremi e audaci».
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Ammiravano il valoroso generale
non potevano tacere la verità
- Giuseppe La Farina - Siciliano,
più
volte esule in Piemonte, fondò la "Società Nazionale".
Cavour io mandò in Sicilia per convincere Garibaldi a consentire
l'annessione dell'isola ai Piemonte. Entrò in conflitto con
Garibaldi e fu espulso.
- Carlo Pellion - Conte di
Persano,
entrò nella Marina sarda e raggiunse il grado di ammiraglio. Fu
anche ministro della Marina nel governo Rattazzi (1862). Comandante
supremo della flotta italiana a Lissa «866), fece errori
grossolani e fu sconfitto dagli austriaci. Giudicato colpevole, venne
degradato.
-
- Pier Carlo Roggio - Giornalista
e uomo
politico, fu amico di Cavour. Nei 1865 tentò, inutilmente, una
soluzione della questione romana con Pio IX. Pubblicò una
biografia di Garibaldi.
Tratto da: Libero
- Venerdì 5 settembre 2003
