Ringraziamo l'amico Nino Gernone per averci inviato in fotocopia questo vecchio articolo di Carlo Alianello, pubblicato nel lontano marzo 1958 da Storia Illustrata.
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Al primo
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Sulla linea estrema dell'Oceano sono apparse una, due, tre vele, tre scalfitture bianche sull'azzurro. L'uomo che sta di guardia al porticciolo di Laguna, in provincia di Santa Catarina (Brasile), un gaucho sbracato e sonnacchioso, si leva su e guarda facendosi schermo con la mano. Che saran quei tre barchi? Amici o nemici? Siamo in tempo di guerra e bisogna vigilare. Perciò da di piglio a una corda e tira un campanaccio.
Il comandante dei porto, un vecchio marinaio in ritiro che da poco ha ricevuto quella carica dalla giovane Repubblica, è già uscito dalla sua baracchetta, s'è tolta la pipa di bocca e ora sentenzia : “O non finiscon mai? Non è roba nostra, quella. Dovrebbero essere due corvette e un vascello che filano su Imbituba... e, con queste, ne son passate sei oggi. Brutti rospi imperiali che hanno anche il vento a favore. La va male... la va male”.
“E il genovese?” domanda la guardia.
“Garibaldi? E che può fare? Ha due golette rattoppate e un lancione che pesca poco... Fatti i conti : per ogni cannone nostro quelli ne portan sei e per ogni uomo, dodici... Può far miracoli Garibaldi?”
Il gaucho si gratta la testa. Mah! Con tutto il rispetto
dovuto
alla Repubblica, lui è d'opinione che gli stranieri
è
meglio che se ne stiano a casa loro. Qui che ci vengono a
fare? A
liberare il Brasile? Hai voglia! L'impero brasiliano
è
ntota nt grande che nemmeno lo sappiamo dove
comincia e
dove finisce e che cosa ci sta in mezzo. E poi, poi... Questa
non
è la provincia di Rio Grande, questa è
Santa
Catarina. Se i Riogradensi ci tengon tanto alla loro Repubblica, beh,
se la godano tutta loro. Noi che ci entriamo?
Le vele intanto erano sparite sull'orizzonte, ma subito il vento leggero che soffiava portò un brontolio indistinto, un boato lungo come un ribollire e si vide un lampeggiar frequente, bagliori paglierini, al largo e dove la costa s'incurva.
“Garibaldi ha attaccato” disse il comandante del porto. “Amen! Qui, di quelli che son partiti in caccia non ci ritorna più nessuno.”
Invece tornarono. Anzi, dei tre barchi, solo la goletta di Garibaldi tornò quella notte; le altre più tardi, a giorno fatto, quando la flotta nemica era scomparsa dall'orizzonte. La nebbia s'era levata e gli imperiali avevano perso di vista la Rio Pardo tra le cortine spesse. Arrivò col bompresso troncato a metà e l'albero maestro scorciato del pomo e dell'alberetto fino alla coffa, attraccò cigolando e scricchiolando. Poi dall'oscurità qualcuno gridò: “O, voi ! Chiamate gente con le barelle e fate venire il chirurgo, subito! Ohi! Da quella cima!”.
Hanno acceso delle fiaccole e han portato altre lanterne; ora la
goletta si svuota del suo carico. Son uomini bendati,
sanguinanti,
portati a braccia, qualcuno geme.
Garibaldi scende per ultimo, quando la piccola folla dei curiosi
s'è accodata al corteo che va su per la china. Ha
atteso
che sul molo tornassero l'oscurità e il silenzio. Per
accertarsi
che ogni suo ordine è stato eseguito, ma anche,
forse,
perché con lui c'è una donna. In
quell'oscurità,
nero su nero, non si vedono di lei che i grandi occhi. È
Anita.
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Quando si pose al servizio della Repubblica di Rio Grande del Sud, Giuseppe Garibaldi era sulla trentina e aveva già un passato avventuroso di marinaio e di mazziniano. Sul suo capo pendeva anche una condanna a morte del governo sardo. Egli conobbe Anita nell'estate del 1839 a Laguna. La giovane, che aveva diciott'anni, abbandonò poco dopo la casa del marito e s'imbarcò sulla nave di Garibaldi. Da quel momento condivise la vita romanzesca del generale. Nello stesso scontro di Laguna fra i barchi dei repubblicani e la flotta imperiale sparò lei il primo colpo di cannone. Fatta prigioniera a Curitybanos, riuscì a fuggire, rintracciò Garibaldi e con lui si ritirò a San Simon, dove il 16 settembre del 1840 ebbe il primo bambino, Menotti.
Siamo, come s'è detto, in Brasile, nell'anno 1839. Il Brasile, che fu già colonia portoghese, era divenuto nel 1822 un Impero indipendente con un Imperatore ancora piccino, don Pedro II, e un Consiglio di Reggenza, il quale confermò la vuota e comoda Costituzione già concessa. Ma una delle provincie, la più meridionale e disgiunta quasi dal resto dell'Impero, il Rio Grande, non volle accettarla, si dichiarò indipendente nel settembre del '36, cacciò il Residente imperiale e proclamò la Repubblica.
L'anno seguente, Garibaldi, ch'era in giro da quelle parti, fu invitato
a mettersi a servizio del nuovo Stato, cosa che lui fece con
grande piacere. E subito compì tali prodigi di valore da
meritarsi il grado di Capitano Tenente, Comandante in capo delle Forze
navali della Repubblica, tutta la marina, che era formata dai tre
barchetti che s'è visto.
I repubblicani di Rio Grande invasero poi la contigua provincia di
Santa Catarina, un po' per dare il suo naturale sfogo alla
rivoluzione e un po' per procurarsi un adatto sbocco
nell'oceano,
perché, pur avendo una flotta, non avevano un mare. Infatti,
le
coste di Rio brande sono separate dall'Atlantico da una striscia di
terra che forma un gran lago interno, la Lagoa dos Patos, dove la
comunicazione col mare aperto è una sola, all'estremo sud,
allora in mano agli imperiali.
Si mosse l'intero esercito riogradense, comandato dal generale
Canabarro, che tenne la campagna, mentre a Garibaldi toccò
di
occupare il paese di Laguna, dove c'è un porto
discreto
dominato da un monte, il Morrò.
Così dunque stavano le cose, dopo qualche mese
d'occupazione, quando abbiamo visto Garibaldi tornare a Laguna
con
Anita, reduce da un ferocissimo combattimento, in cui gli era riuscito
di tener a bada l'intiera flotta brasiliana.
Il fatto d'Anita era andato così. Garibaldi era giunto a
Laguna
in un momento per lui poco fortunato. Usciva da un naufragio : il mare
gli aveva strappato dal fianco i suoi amici migliori, gli unici,
perché Italiani e perché, come lui, marinai:
Luigi
Carniglia ed Edoardo Mutra. Sicché Garibaldi era
solo, con
la sua ciurma, in mezzo alla quale gli sarebbe stato difficile trovar
uno solo con cui scambiar quattro parole in confidenza.
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Garibaldi con Anita e i figli a Montevideo, dove
“l'ammiraglio” dei
repubblicani di Rio Grande si era rifugiato nel 1842. Anita si dedicava alla famiglia, mentre il marito combatteva per l'Uruguay. |
“La gente era di tutti i colori e di tutte le nazionalità” c'informa lui stesso. “Il nord-americano John Griggs, mio secondo, gli altri americani liberti, neri e mulatti, generalmente i migliori e i più fidati; fra gli europei, sette Italiani su cui potevo contare, il resto... marinai americani, detti Frères de la Còte; in altri tempi equipaggi di filibustieri e bucanieri che ancora davano il loro contingente alla tratta degli schiavi.” Ci voleva l'energia e la fredda decisione di Garibaldi per tenerli a freno. E gli Italiani glieli avevano portati via un po' per volta il mare e le cannonate imperiali. E così Garibaldi era solo, in terra due volte straniera, dove anche la natura è differente, dove gli alberi hanno altre forme, altre ombre, gli uccelli altri voli, diversi richiami e, sullo sterminato lido, non vedi che gruppi di palme, di cactus, di espinillos e giungle e canneti, dove l'occhio non trova una linea nota, un colore giusto al nostro cuore.
La popolazione di Laguna, un bel paesino sul mare, tra i bananeti e le
agavi, bianco sul pendìo del Morrò, era
indifferente, se non ostile, fuorché i
repubblicani,
s'intende, pochi e malvisti; e le donne diffidenti, che
abbassavano le palpebre e chinavano gli occhi in terra, quando
passava tra loro il bel marinaio, che pure era da guardare,
così biondo, così forte, così diverso!
Per questo forse, un po' per volta, Garibaldi si
abituò a
non scendere più a terra, se poteva farne a meno. Nei cheti
pomeriggi, quando ogni cosa è in pace e il caldo cede alla
brezza, se ne restava appoggiato alla murata di poppa della
sua
goletta, ad ascoltar le voci e i richiami che dalle stradette
in
pendìo, dalle case affacciate sul mare, dagli orti, gli
giungevano col vento di terra insieme con gli odori familiari
della cena che cuoce sulla legna ancor verde e del fumo che si
stempera nell'odor dello scoglio. Ma era più il sentore
della
gente, delle case, dell'intimità nascosta che lo tenevan
lì, col brusio degli uomini che vanno e vengono e il
chiacchierio fitto degli uccelli sugli alberi e delle donne sulle
soglie delle case.
Il sole scendeva pian piano dietro il Morrò e le
acque
della cala sfoggiavano le loro collane di riflessi balenanti. Era l'ora
che sulla piazzetta del porto venivano a passeggiar le
ragazze, in
gruppi chiassosi o a due a due, con le loro gonne fiorite, le camicette
colorate e i capelli neri, ben pettinati e lucidi. Le voci
giungevano fresche e gaie, al bel giovane; ma nessuna ragazza,
passando, gli gettava un'occhiata.
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Anita,
nata Ribeiro da Silva e moglie di Manoel
Duarte, sposò Garibaldi nel marzo del 1842. |
Eppure no; ce n'è una, formosa, ma slanciata come una puledra, che l'ha fissato n uistante, un'occhiata sola, ma dritta e appuntita. Poi era passata assieme alle sue amiche, che ridevano di qualche cosa. Di che ridono? pensò Garibaldi. Di me? Di lei? O forse d'uno dei tanti nulla per cui ridono le ragazze? Ma che bella figliola! D'altra parte non gliene importava niente che le ragazze avessero a ridere. Ridono sempre le donne quando intuiscono cose d'amore per aria. Ma eccola che torna, con una amica sola, sottobraccio.
Garibaldi si sporge fuori della murata, s'assetta il giubbone
azzurro di marinaio. Ecco, l'ha guardato una volta ancora,
più a
lungo, forse, o forse no; ma chi dice che in un'occhiata non
ci
possa star tutto un discorso? Occhi neri, occhi grandi, occhi fondi...
Ma anche adesso è passata e per stasera non
tornerà
più.
Il sole ha dato il suo ultimo guizzo e una luce rossa, abbagliante,
occupa il mondo. Addio, ignota. O no, arrivederci.
L'indomani lei tornò, ma più presto, e
sola. Fece un
giro attorno la piazza, s'attardò un istante verso il mare,
quasi a cercar l'orizzonte, poi si volse e andò su
per una
stradetta verso il Morrò; a Garibaldi nemmeno
un'occhiata.
Lui però non la voleva perdere, questa volta;
saltò
sul molo e le tenne dietro, cauto, quasi bighellonando, come chi fa una
passeggiata, che gli sarebbe spiaciuto comprometterla.
Vanno sii per la viuzza, attraversano una piazzetta, costeggiano un
orto e un canaletto dove l'acqua stagna piatta nella calura,
salgono un pendìo. Lei va con la testa alta, il
torso
eretto e ancheggiando un po' come tutte le creole, ma non si
volta
mai. Sa che lui le vien dietro, non cupido, ma affascinato
già e curioso di lei. Le poche persone che spian
dall'uscio
a quel frusciar cauto di passi nell'ora della siesta, e li vedono
passare uno dopo l'altro sotto quel sole bollente,
non se ne
meravigliano, anche se scuotono la testa e sorridono
sprezzanti.
Loro non pensano all'amore, tutt'altro. A un messaggio,
piuttosto,
a un intrigo, a una storia di politica, impero o repubblica.
Anche lei sa queste cose, ma ora ogni differente pensiero
l'è uscito dalla mente. Quei due che vanno staccati,
sperduti,
soli e uniti, pensano a una storia d'amore che si va facendo.
C'è qualcuno che s'è detto, vedendoli passare :
“Quello scriteriato di Manoel. Ecco che adesso ci
mette la
moglie, nei suoi pasticci politici”.
Quando Garibaldi vide la donna imbucar una stradetta breve che
terminava in un folto di canneti, dove c'era una casetta umile e un po'
sbilenca, e dall'uscio accostato balzar fuori un uomo giovane,
un
bel bruno, che le andò incontro e le prese la mano,
è chiaro che non ci si raccapezzò più.
Però
il giovane si tolse il sombrero con un gran giro di braccia e gli
s'inchinò, proprio a lui, sorridendo : “Si
accomodi”
gridò “s'accomodi, signor comandante!
Quale onore per
me!”.
Lì per lì, e controluce, non l'aveva visto bene;
ma
adesso lo riconobbe subito. Era un certo Manoel Duarte de Aguiar, forse
il più acceso e il più enfatico dei repubblicani
di
Laguna, che adesso gli veniva incontro trascinandosi. appresso
la
donna, un po' rossa e quasi riluttante : “Che onore, per me e
per
mia moglie averla ospite in casa nostra! Permetta che gliela
presenti : questa è la mia sposa, Anna de
Jesus...
Anita...”.
Si dettero la mano cerimoniosamente e si guardarono come due persone nuove, diverse. Poi Manoel spalancò la porta e disse ancora : “S'accomodi”. Allora Garibaldi entrò
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Anita prese parte a molte
battaglie a fianco di Garibaldi e
affrontò con ardimento disagi di ogni genere. Nel 1841 compì una ritirata col bimbo in braccio. Perciò è entrata anche lei nella leggenda. |
Di quel che parlaron tra loro, Manoel e il Capitano Tenente Comandante, noi non sappiamo nulla. Forse il marito d'Anita voleva procurarsi una protezione e un rifugio in caso di torbidi, forse voleva farsi raccomandare per una carica o un impiego, forse gli premeva far una denunzia o chiedere un'informazione. Lui era un repubblicano sincero, uno dei pochi veramente devoti alla libertà, alla causa, nemico della schiavitù, odiatore degli imperiali, forse il solo in tutta Laguna!
Intanto Anita offriva "il caffè. Era piccola, Anita, ma con
quel
suo corpo nervoso e agile d'amazzone pareva riempir tutta la
stanzuccia. E ora se ne stava ritta vicino alla finestra,
controluce, dove il rame del tramonto imminente le stagliava
netto
il bellissimo corpo. Fissava alternativamente il marito e lo straniero,
con gli occhi grandi velati dall'ombra e dalle ciglia lunghe.
Il marito parlava senza respiro, frasi fatte, concetti triti, detti
alla buona, su cui tornava sempre, parole ch'erano in tutto
simili
a lui, così gonfie, violente insieme e vaghe.
L'altro lo
lasciava dire, con quel suo bel viso fermo e lo sguardo
limpido e
assorto.
A un certo momento Manoel dovette alzarsi e andar di
là,
nella stanza interna, a prender forse dei documenti da far vedere o
solo una bottiglia di aguardiente. Chi sa? Certo è che
Garibaldi
e Anita si ritrovarono soli nel vano della finestra. Fu allora che
Garibaldi pronunziò le famose parole che
lui stesso
ci riporta nelle sue Memorie autobiografiche: “Fanciulla,
tu sarai mia”. Lei rispose con un cenno
“che conteneva
un patto d'amore infrangibile”.
Anita confessò tutto a Manoel? Come avvenne la rivelazione, seppur ci fu? Possiamo immaginare una scena alla Vittoriano Sardou, “...perdonami se ti fo male, Manoel, ma io amo Josè” ? Oppure fu lui a insistere, a tormentare e, piangendo, le strappò le parole definitive? O invece assistette desolato, inerte, a quel feroce divampare di passione? Può anche darsi che non se ne dette per inteso e, per il suo meglio, fece finta di nulla. E c'era la ragione, come poi vedremo.
Certo è che ci fu un intermezzo : la tragedia non scoppiò subito. I Duarte presentarono il Comandante ai loro amici e Manoel dovette farsi bello di quel nome e di quella amicizia. Sappiamo che ci fu un battesimo in una casa amica, brava gente che abitava come i Duarte sulle pendici del Morrò. Una festa grande, forse una festa polemica, repubblicana, alla faccia dei reazionarii che ci stavano in Laguna (e ch'erano quasi l'intera popolazione), perché il padrino del nato fu Garibaldi e la madrina Anita. E si ballò fino a tardi e Garibaldi danzò con molto brio e Anita anche e fecero coppia fissa. Forse il marito ne fu lusingato. Manoel però doveva ben presto rinsavire.
Di lì a breve tempo ogni cosa gli precipitò intorno. La provincia cominciò a ribellarsi e monarchici e moderati rialzarono il capo. La piccola città d'Imerruy, poco distante da Laguna, cacciò il piccolo presidio e abbassò la bandiera repubblicana. Lo stesso Garibaldi fu mandato sul posto dal suo capo supremo, il generale Canabarro, a far da castigamatti. Una spedizione punitiva che a Garibaldi non piacque, ma gli toccò compiere.
Intanto un vigoroso esercito imperiale calava dai monti e la
flotta imperiale si schierava tutta sul mare, puntando su
Laguna,
per distruggere quel covo d'audaci.
L'esercito dei Riogradensi era piccolo, male armato, in paese ostile;
non gli restò che battere in ritirata, per non rimanere
impigliato nella rete. Fu allora che quei pochi
repubblicani
del paese si misero in via anch'essi, o per timore delle vendette
sicure o perché davvero preferirono l'esilio alla perdita
del
loro ideale.
Con essi si ha ragione di credere che sia andato anche Manoel;
sicché, quando Anita uscì dalla casa di
lui al
braccio del suo uomo, quello definitivo, che incarnava per lei,
intrepida, la sua ragione di vita, lei tenne la testa alta. A sfida
certamente, non del marito che non c'era già
più,
troppo piccolo uomo per quell’evento, ma di quelli
che la
giudicavano.
Laguna era un piccolo paese di quell'America meridionale dove
ancora oggi la moralità di chi appena non
è plebe o
meticciato è spesso fiera e ristretta, risentita perfino e
acre
nel rispetto soprattutto della forma. Eppoi Garibaldi era un
repubblicano, un avversario, un bell'avventuriero audace fino alla
temerarietà, ma i
Lagunesi non potevano intendere, anzi intuire in lui, l'umana
grandezza che noi gli conosciamo. Transfughi l'uno e l'altra per i
malevoli e gli ignari.
Perciò, quando Anita seguì a fronte alta il suo amato sulla goletta, vi andò sicuramente di sua volontà, ma ce la spinse anche un vento di calunnie e di rimbrotti. Che non cessarono di sicuro, quando gli altri la videro andare e tornar per mare col Capitano Tenente, tutte le volte che lui usciva in caccia, e la seppero sua compagna temeraria di guerra, oltre che amante.
Poi la ritirata cominciò, lunga, terribile. Anita e
Garibaldi si ritireranno anch'essi dopo aver bruciate le navi, ultimi,
dopo che i pochi illesi e i feriti del combattimento estremo saranno
sbarcati sul molo, soli tra mucchi di cadaveri e un frantumio di legni
e di metalli. Lui e lei con la fiaccola a dar fuoco. Poi si metteranno
in marcia con quel pugno di scampati attraverso il paese.
Tra loro e il nemico c'è soltanto un sipario di
fiamme alte
dove rintronano gli scoppi delle polveriere che saltano. Son
pochi
e i più si reggono a stento, ma non c'è nessuno
che gli
dia un bicchiere d'acqua o un braccio a sorreggerli. Il paese
dorme o fa il morto sotto quello scatenìo di fuoco
a riva,
che par non lo riguardi. E così essi se ne vanno senza
guardarsi
indietro, senza un addio.
“Ànita”, dice Garibaldi, “mi
conobbe nella
sventura e la sventura me la consacrò per sempre.”
E la
sventura se li porta via dentro il mito splendente, come una favola, a
fronte alta. Ora hanno il paese alle spalle e marciano lungo la grande
spiaggia senza fine, fragorosa d'un tuono perpetuo, dove il
rombo
dell'oceano strappa le parole di bocca e le cancella, e tra le pozze
d'acqua salmastra dove s'abbeverano gli uccelli marini, a
mille,
in nuvoli fitti di stridori. Dietro di loro il bagliore delle vampe
simula ancora il rosso d'un tramonto.
Allora Garibaldi e Anita si guarderanno ancora, ma più a
fondo,
con uno sguardo nuovo dove l'ardimento inconscio s'è mutato
in
fortezza e in comprensione, e si stringeranno la mano. E di
parole
non c'è bisogno. Anch'essi vanno pei secoli futuri, fin
quanto
durerà la memoria degli uomini
intrepidi.
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