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i comunicati stampa da parte dellFNS ma non siamo in grado di
pubblicarli tempestivamente, vi invitiamo pertanto a visitare il
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limiti del possibile, promettiamo di pubblicare il materiale inviatoci
ma il tutto è legato alla disponibilità di tempo e agli
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Grazie
e tornate a trovarci.
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FRUNTI NAZZIUNALI
SICILIANU - SICILIA INDIPINNENTI
FRONTE NAZIONALE SICILIANO - SICILIA INDIPENDENTE
-Segreteria Nazionale-
Comunicato Stampa
15 MAGGIO 2005. 59° ANNIVERSARIO DELLO STATUTO SICILIANO.
CONTINUANO LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI COSTITUZIONALI
DEL POPOLO
SICILIANO E IL TRADIMENTO DEL PACTUM
Con la ricorrenza del 59° anniversario della promulgazione dello
Statuto Speciale di Autonomia per la Regione Siciliana, avvenuta, com'
è noto, con il Decreto Legislativo del 15 maggio 1940, emanato
dal Re d'Italia Umberto Secondo, e controfirmato da tutti i suoi
Ministri (ivi compresi il Capo del Governo Alcide DE GASPERI ed il
"Guardasigilli" Palmiro TOGLIATTI), si ripropone ancora una volta il
Problema del tradimento dei diritti costituzionali del Popolo Siciliano
e la violazione del PACTUM che ora (ed è) alla base della
Specialità dello Statuto stesso.
Non ci sembra, pertanto, che esistano ragioni per festeggiare
l'anniversario, in quanto quello Statuto -che tanto sangue ed enormi
sacrifici era costato al Popolo Siciliano- non è mai stato
applicato integralmente, nonostante le promesse solenni ed i giuramenti
che furono fatti nel lontano 1940 per indurre il Popolo Siciliano, in
lotta per l'indipendenza della Sicilia, a deporre le armi in cambio di
uno Statuto che avesse le funzioni della Costituzione di un
quasi-Stato.
È, quindi, un' occasione in più per stigmatizzare come
in tutti questi anni ne siano stati mutilati o soppressi di fatto gli
articoli più qualificanti. E come si sia impedito all'Istituto
Autonomistico di svolgere pienamente il ruolo di strumento di
autogoverno, di democrazia e di progresso dei Siciliani tutti.
Gli Indipendentisti FNS accusano, pertanto, la classe politica, i
partiti centralisti dominanti in Sicilia ed i rispettivi rappresentanti
nelle istituzioni di avere calpestato i diritti e deluso le aspettative
di rinascita e di riscatto dei nostro Popolo. La verità è
che, purtroppo, così si è consumato, avendolo programmato
fin dall'inizio, quello che in uno Stato di diritto è il
più grave reato politico -e non solo politico- che si possa
commettere. Si è, cioè, violata la Costituzione, della
quale lo Statuto è parte integrante. Colpo di mano, questo, che
nulla ha da invidiare ad un "GOLPE BIANCO" ( come denunziò a suo
tempo Giuseppe Montalbano). La dice lunga in proposito la controversa
"soppressione di fatto" -e non di diritto- dell'ALTA CORTE PER LA
REGIONE SICILIANA, che -a detta persino di Mario Scelba- rappresentava
la massima garanzia di rispetto del PACTUM.
C'è stato, però, qualcosa di peggio. Probabilmente e
nell'ambito di una più vasta congiura antiautonomista,
antifederalista e antisiciliana e nel vano tentativo di autoassolversi,
la classe politica regionale -o meglio una grande parte di essa- ha
approvato recentemente all'ARS una proposta di LEGGE VOTO per la
riforma dello Statuto, che annulla sostanzialmente la SPECIALITÀ
AUTONOMISTICA. E che rende impossibile ogni rivendicazione di
Autogovemo da parte del Popolo Siciliano (che, peraltro, nel
"preambolo" non è stato volutamente neppure nominato).
Riducendo, così, la Regione Siciliana ad una miseranda cassa di
risonanza e/o un "punto" di smistamento di tutto ciò che viene
deciso o disposto fuori della Sicilia. Il nuovo Statuto, piuttosto che
la base di partenza per I' evoluzione in senso federalista
dell'Autonomia Siciliana, diventerebbe, pertanto, sempre più
simile ad un "REGOLAMENTO CONDOMINIALE" fra i partiti Italiani
centralisti ai quali, possibilmente, si possono aggiungere quelli
pseudosicilianisti. Ovviamente privo di riferimenti al Popolo
Siciliano, ai suoi diritti, alla sua identità. Uno strumento,
insomma, di "omologazione" e di ascarismo, che perdippiù mira a
smembrare la rappresentatività e il ruolo della stessa ARS, come
crede e continuatrice dell'antico Parlamento della Nazione Siciliana.
Ciò anche attraverso l'invenzione di Organismi rappresentativi
municipalistici, provincialistici e corporativi, che mirano a togliere
alla Sicilia unicità di indirizzo politico, soprattutto nel
momento in cui dovrà entrare in funzione l'Area Euromediterranea
di Libero Scambio.
U Frunti Nazziunali Sicilianu "Sicilia 'Ndipinennti", a questo
punto, ritiene che ai debba piuttosto delegittimare in toto l'azione
dei partiti Italiani per riprendere su basi programmatiche più
concrete ed incisive (nel rispetto della regola democratica e dei
metodi non violenti, nelIa legalità costituzionale, ma con
estrema fermezza) la lotta per l'indipendenza e per il riscatto del
Popolo Siciliano e per il ritorno della Sicilia, da protagonista, nel
contesto dell'Unione Europea e degli altri Consessi Internazionali. In
una prospettiva più ampia di amicizia, di pace e di
solidarietà con tutti i Popoli del Mondo .
Palermu, 14 Maju 2005
IL SEGRETARIO
(Giuseppe Scianò)
FRUNTI NAZZIUNALI SICILIANU "Sicilia Indipinnenti"
FRONTE NAZIONALE SICILIANO "Sicilia Indipendente"
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"CUMITATU CITATI 'I CATANIA"
"Comitato Città di Catania"
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tel 3496933580 fax 09569431141
"CUMITATU MISSINISI"
fnsme@yahoo.it
"CUMITATU NISSENU"
fnsnissenu@gmail.com
«La Sicilia di domani sarà quale noi la vogliamo:
pacifica, ricca, felice, senza tiranni e senza sfruttatori»
"La Sicilia ai Siciliani" 1942
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Fonte:
Nazione Napoletana - Anno IV - Numero 2 - Marzo 1999 - 139° anno di
occupazione

È
un grande onore per Nazione Napoletana - edizione nord - ospitare un
articolo del Dott. Giuseppe Scianò, Segretario politico del
Fronte
Nazionale Siciliano «Sicilia Indipendente», un movimento
erede di una
grande tradizione di lotta al servizio della Sicilia. Ci rendiamo
perfettamente conto che la Sicilia ha una peculiarità che la
rende
distinta dal Sud continentale. Tuttavia i legami storici e culturali
tra la Nazione Napoletana e la Nazione Siciliana sono cosí
profondi da
rendere indubbie la necessità ed il dovere di coltivare
sentimenti di
grande amicizia e solidarietà tra i nostri Popoli. Le sorti
della Terra
Siciliana ci stanno a cuore in maniera non inferiore a quella di una
qualunque regione del Sud, anche se ci rendiamo conto che
l’obiettivo
di restituire la Sicilia ai Siciliani sia un affare interno
dell’Isola.
La sincerità dei nostri sentimenti è dimostrata dal fatto
che da tempo
abbiamo stampato a Napoli un libretto sul separatismo siciliano, che ha
riscosso un vivo interesse nell’ambiente napoletano. Antonio
Pagano
____
L’incoronazione a
Palermo di
Carlo di Borbone, il 30 giugno 1735, è l’ultima
incoronazione di un Re di Sicilia in Sicilia.
Le
prerogative del Regno di Sicilia, inteso come «Stato
Siciliano»,
sarebbero state soppresse nel 1816 dal figlio di Carlo e risorgeranno
nel 1848 per un biennio circa.
Carlo
regnò - da Napoli - fino al 1759, anno nel quale salí sul
trono di
Spagna. Gli successe, appunto, il figlio Ferdinando, che aveva appena 9
anni, sotto la tutela del ministro Bernardo Tanucci che presiedeva un
«Consiglio» del quale facevano parte alcuni Siciliani.
In
questo periodo in Sicilia si viveva il cosiddetto «illuminismo
borbonico». Si avvicendarono due Viceré abbastanza
«illuminati»,
Domenico Caracciolo e Francesco d’Aquino, che introdussero in
Sicilia
molte innovazioni sociali, economiche e culturali.
La Sicilia, però,
non tollerava
che il Re risiedesse a Napoli ed inoltre reclamava la propria
indipendenza.
Il
20 maggio 1795 venne decapitato Francesco Paolo Di Blasi, un famoso
giurista, che, con altri tre indipendentisti, pure condannati a morte
(questi furono impiccati), avevano tramato per creare una Repubblica
Siciliana libera e indipendente.
I
martiri siciliani avevano fatto propri alcuni principi della
rivoluzione francese, ma non avevano avuto alcun collegamento con
questa ed avevano agito autonomamente. Si riallacciavano, infatti, al
filone «nazionalista » siciliano, sempre vivo.
Appena
tre anni dopo si rifugiò a Palermo, nel giorno di Natale del
1798,
Ferdinando con la propria famiglia. Le truppe francesi guidate dal gen.
Championnet lo avevano costretto a fuggire da Napoli, dopo aver invaso
il Regno continentale. I Siciliani lo accolsero calorosamente e con
grande generosità, anche perché pensarono che il Regno di
Sicilia
avrebbe avuto - ora - il proprio Re in «sede». I Siciliani
gli
finanziarono la flotta e tre reggimenti di fanteria. Gli fecero anche
molte donazioni. Dopo meno di quattro anni, però, le cose
cambiarono.
Gli
Inglesi, con l’ammiraglio Nelson ed il Cardinale Ruffo, a furor
di
popolo, nel 1802, consentirono a Ferdinando di tornare sul trono di
Napoli. Grande fu la delusione in Sicilia, anche perché
Ferdinando non
dimostrava piú alcuna gratitudine per l’ospitalità
e gli appoggi
ricevuti durante il soggiorno forzato a Palermo.
Nel
1806, questa volta sotto l’impeto degli eserciti napoleonici,
Ferdinando si rifugiò nuovamente in Sicilia, mentre a Napoli si
insediavano prima Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, e subito
dopo Gioacchino Murat, cognato dell’imperatore.
I
Siciliani, però, verso Ferdinando furono meno ospitali e meno
generosi
che non nella precedente volta. Il Parlamento Siciliano
rivendicò le
proprie prerogative e fece pesare nei confronti dell’Impero
Britannico
il ruolo che la Sicilia avrebbe potuto svolgere nella guerra contro
Napoleone.
Il
grande Corso, che sembrava invincibile, era il pericolo maggiore e
ormai dominava incontrastato in tutta l’Italia attraverso una
rete di
Stati-fantoccio. Il Piemonte e la Liguria erano stati addirittura
incorporati alla Francia.
Lord
Bentinck, ministro plenipotenziario inglese, incoraggiò le
spinte
nazionaliste siciliane ed incoraggiò la redazione di una
costituzione
che garantisse, oltre che i diritti civili - diremmo oggi - anche
l’indipendenza siciliana. La nuova Costituzione, che fu emanata
nel
1812, porterà nuovamente la Sicilia all’avanguardia degli
Stati Europei
e ridimensionerà il ruolo di Ferdinando, esautorato e relegato a
Ficuzza. Bentinck incoraggiò, altresí, la formazione di
una flotta da
guerra siciliana e di un esercito siciliano.
Ne
sarebbe stato ampiamente ripagato, perché i Siciliani
dimostrarono di
sapere ben combattere anche contro Napoleone. I Franco-Italiani,
infatti, non riuscirono mai a compiere uno sbarco in Sicilia nonostante
i ripetuti tentativi del Murat. Le navi siciliane si spinsero fino
all’Alto Tirreno, insidiando il porto di Genova. Livorno e
l’isola
d’Elba furono occupate dai Siciliani, a dispetto di Napoleone e
dei
suoi sostenitori.
Dopo
il successo di Vienna e la Restaurazione, che fecero tornare sui loro
troni i sovrani spodestati, Ferdinando di Borbone, che è IV di
Napoli e
III di Sicilia, istituisce il Regno delle Due Sicilie. È
l’8 dicembre
1816. La Sicilia perde cosí il suo Parlamento e la stessa
Costituzione
del 1812.
La
lotta per l’indipendenza diventa per i Siciliani un obiettivo
primario.
Lo dimostra la rivoluzione scoppiata a Palermo il 15 luglio 1820, che
sarà violentissima, anche se non riuscirà ad espandersi
in tutta la
Sicilia. Gli ultimi focolai di rivolta verranno spenti nel 1821 con
l’intervento diretto delle truppe austriache.
La
rivoluzione del 1820 fu osteggiata sia dai Borbone, sia dai liberali di
Napoli, appunto perché, piú che «liberale»,
era indipendentista, anzi
separatista.
Altri
motivi vi furono. I piú gravi dei quali avvennero nel 1837. Ma
senza
dubbio, una vera e propria, grande, rivoluzione, estesasi a tutta la
Sicilia, fu quella, peraltro preannunziata, scoppiata a Palermo il 12
gennaio 1848. Suo leader carismatico fu Ruggero Settimo.
La rivoluzione del 1848 fu
definita
«federalista», perché la Sicilia dichiarava di
volersi federare con altri Stati italiani.
Non
fu affatto una rivoluzione «unitaria», come poi si
cercò di far
credere. L’indipendenza della Sicilia rimaneva, infatti,
l’obiettivo
prioritario. Significativo è, a tale scopo, l'art. 2 del Titolo
I dello
«Statuto costituzionale del Regno di Sicilia» approvato dal
Parlamento,
che cosí stabiliva: «LA SICILIA SARÀ SEMPRE
STATO INDIPENDENTE», ed ancora: «Il
Re dei Siciliani non potrà regnare o governare su verun altro
paese.
Ciò avvenendo, sarà decaduto ipso facto. La sola
accettazione di altro
principato o governo lo farà anche incorrere ipso facto nella
decadenza».
Il
15 maggio 1849, superate le ultime eroiche resistenze, le truppe
borboniche riprendono possesso della Sicilia. Il sogno indipendentista
sembra per il momento infranto.
Il
1848, com'è noto, era stato l’anno delle rivoluzioni in
tutta quanta
l’Europa. In ogni singola realtà nazionale, ovviamente,
esistevano
motivazioni diverse. Caratteristica pressoché comune fu
l’affermazione
delle teorie liberali. Ovunque si contestavano l’ordinamento
«reazionario» e le «restaurazioni» scaturite
dal Congresso di Vienna. In molti casi si rivendicavano la
indipendenza ed il riconoscimento delle identità nazionali.
Erano,
quindi, obiettivamente in crisi i princípi sui quali era basata
la
«Santa Alleanza», che, com’è noto, era stata
stipulata nel 1815 fra
Austria, Prussia e Russia al fine di garantire che l’ordine
politico e
territoriale, scaturito dal Congresso di Vienna non venisse piú
sconvolto, né dall’interno, né dall’esterno.
Aderivano all’Alleanza i
rispettivi alleati nella lotta contro Napoleone.
Però
l’Inghilterra, che pure era stata una delle protagoniste
principali
della lotta contro l’espansionismo francese, non aveva aderito
alla
Santa Alleanza. Si era delineata, quindi, una
«differenziazione» - che
sarebbe divenuta nel tempo aperta ostilità - fra la politica
dell’Impero britannico e la politica degli Stati che componevano
la
Santa Alleanza. Morto Napoleone, l’Inghilterra individuava negli
Imperi
di Austria e di Russia e nella Prussia i nemici da abbattere.
Un
intervento «moderatore» inglese sull’Austria avrebbe
impedito, nel
1849, che il generale Radetzky invadesse il Piemonte, dopo la battaglia
di Novara, avvenuta il 23 marzo 1849. Quella battaglia aveva sancito
che l’esercito piemontese, guidato da Carlo Alberto e comandato
dal
generale polacco Chrzanowsky, era stato sonoramente sconfitto. Non
solo: l’Inghilterra indusse, altresí, l’imperatore
austriaco a
contentarsi di un risarcimento elevato, ma pur sempre liberatorio, di
75 milioni. L’Inghilterra fece anche di peggio, perché con
- non troppo
velate - minacce costrinse l’Austria ad accettare l’atto di
sottomissione e le dichiarazioni di buona volontà del giovane
successore di Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, che cosí
rimase sul
trono sul quale si era appena seduto.
Bisognava
a tal proposito ricordare che l’impero Austro-Ungarico aveva
l’esigenza
di concludere la guerra anche perché, contemporaneamente, al suo
interno doveva far fronte a diverse rivoluzioni nazionali,
«liberali»
ed etnico-religiose.
Nessuna
meraviglia, dunque, se, intanto, Londra era diventata la città
dove
trovavano la migliore ospitalità gli «esuli»
provenienti dalle varie
rivoluzioni dell’intero periodo cosiddetto
«risorgimentale» e dalle piú
disparate realtà nazionali dell’Italia. Non era,
però, una ospitalità
gratuita, perché gli esuli venivano forzatamente
«riciclati» in senso
filo-Savoia ed «unitario» dal governo britannico. A sua
volta, con la
nota astuzia ed accortezza diplomatica, il Cavour assecondava i disegni
inglesi contro l’imperatore russo e contro gli Asburgo. In questa
ottica rientrerà la partecipazione alla guerra di Crimea. Il
Piemonte,
cioè, partecipa alla guerra, con l’Inghilterra e la
Francia, in favore
della Turchia e contro l’intervento della Russia, che vorrebbe
liberare
le popolazioni cristiane e, nel contempo, trovare uno sbocco
«geo-politico-economico» nel Mediterraneo. La guerra di
Crimea sarebbe
durata quattro lunghissimi anni (1852-1856). I morti furono 400.000.
L’apporto
militare del Piemonte, peraltro intervenuto negli ultimi due anni del
conflitto, non fu determinante dal punto di vista militare ed i suoi
numerosi morti furono vittime, in prevalenza, di vaiolo, di diarree e
di malattie varie. Ma dal punto di vista politico avrebbe avuto effetti
e conseguenze notevoli, perché il Regno sabaudo si qualifica
come lo «strumento»
attraverso il quale si sarebbe realizzato il «nobile»
progetto inglese
di costruire uno Stato italiano dalle Alpi alla Sicilia. Anche a costo
- come vedremo - di distruggere, innanzitutto, il
«maledetto» Regno
delle Due Sicilie.
Quest’ultimo
era, peraltro, fra gli Stati italiani, l’unico che disponesse di
industrie moderne in continua espansione e di due flotte mercantili di
tutto rispetto (quella siciliana e quella napoletana), di
un’accademia
navale, di una flotta militare e di un esercito migliore di tutti
quelli esistenti negli Stati italiani in quell’epoca.
Per
la guerra di Crimea, come per le altre, va anche detto che il
«Piemonte» (ufficialmente Regno di Sardegna) non aveva
né i mezzi, né
le idee. Venne, peraltro, ben pagato per ogni soldato inviato sul
fronte russo. Acquistava, tuttavia, prestigio e credibilità
presso gli
Inglesi, ai quali sostanzialmente, in quel caso specifico, interessava
la «copertura» - presso l’opinione pubblica
internazionale, ostile alla
Turchia - per una impresa disastrosa e moralmente sporca. La vittoria
degli Inglesi e dei suoi alleati, infatti, avrebbe consegnato,
cinicamente e definitivamente, le popolazioni cristiane slave
dell’Europa Sud - Orientale alla «feroce» dominazione
turca, costellata
di violenze inaudite, di corruzione e di abitudine allo sfruttamento.
Sembrava, comunque, raggiunto lo scopo di far desistere, come si
è
detto, la Russia dal progetto di crearsi l’agognato sbocco nel
Mediterraneo. L’Europa era, inoltre, avvisata. Gli
«amici» della Russia
sarebbero stati considerati e trattati come «nemici»
dell’Inghilterra.
Mentre i nemici della Russia - ancor quando scalcinati come il regno
sabaudo - «amici» da difendere, da proteggere, da
utilizzare, da
premiare.
I
Borbone, intanto, intraprendono una serie di accordi e di rapporti
commerciali, vantaggiosi, proprio con la Russia. Le economie siciliana
e napolitana si rafforzano immediatamente e si avviano verso un
ulteriore, grande, sviluppo. È troppo: l’Inghilterra rompe
ogni indugio
e centuplica gli sforzi per creare uno Stato unitario, che si
estenda dalle Alpi al Mediterraneo e che possa sbarrare il passo, per
terra e per mare, agli Imperi dell’Europa continentale ed alla
loro
influenza politica ed economica. Non ha remore morali, né di
altro
tipo. Il dado è tratto.
La
potente Inghilterra prende per mano il Piemonte, lo arma, lo veste, lo
calza, lo finanzia, lo programma e gli fornisce la maschera per fargli
recitare la parte di un Caino, sui generis, con il compito di far fuori
tutti gli Abele che avrebbe incontrato in Sicilia, in Calabria, nella
Basilicata, in Puglia, in Campania, in Abruzzo e nel Molise. Per
esigenze di copione, però, quel Caino sarà chiamato di
volta in volta
«liberatore», «patriota», «eroe»,
acc.
Per
una serie di fatti, che mi propongo di descrivere in altra circostanza,
da lí a poco sarebbe avvenuto che i tanti Abele, vittime di
violenze e
di espoliazioni, avrebbero chiamato e riconosciuto come liberatori,
salvatori, eroi, patrioti, i tanti «Caini», che li
avrebbero oppressi
dal 1860 in poi.
Dirò
brevemente che si sono verificati contemporaneamente - in Sicilia e in
Napolitania, la sindrome di Stoccolma e quella che Franz Fanòn
definisce «Alienazione culturale».
In
questo contesto si svolgerà la spedizione dei mille. È
un’avventura che
avrà, ovviamente, una sorte molto piú felice di quella
toccata alle
imprese, improvvisate e senza grosso supporto straniero, di Carlo
Pisacane (1844) e dei fratelli Bandiera (1857). Non può essere
diversamente, del resto, per un’impresa a totale carico della
Gran
Bretagna. Cavour, Vittorio Emanuele, Garibaldi e compagnia bella fanno
soltanto gli uomini di paglia o le mosche cocchiere, a seconda delle
circostanze. Hanno la faccia tosta adeguata alla bisogna. Ricordiamo
che nel 1860 l’Inghilterra, o per meglio dire, la Gran Bretagna,
è la
maggior potenza del mondo, lo Stato piú industrializzato,
piú ricco,
piú moderno, piú efficiente. È il trionfo
dell’ «Era Vittoriana», dal
nome della Regina Vittoria, che si avvale di governi e di primi
ministri sempre all’altezza della situazione, nonostante i
contrasti.
La regina Vittoria ebbe il buon gusto di considerare sfacciatamente
filo-italiana la politica del governo Palmerston - Russell, ma tuttavia
l’accettò perché conveniente e funzionale alle mire
egemoniche della
Gran Bretagna.
Il
fatale sbarco dei «mille» a Marsala, avvenuto l’11
maggio del 1860,
viene ancora presentato, dalla cultura ufficiale, come un avvenimento
radioso. Che abbia avuto un’importanza storica notevole non
c’è dubbio.
Ma per farla diventare un’impresa militare «pulita»,
i pennaioli hanno
dovuto costruire un castello di bugie, alle quali - a colpi di
moschetto e con violenze inaudite - i Siciliani hanno «dovuto
credere»
per forza.
Anche
sulla effettiva «partecipazione» del Popolo Siciliano
all’impresa
esistono menzogne semplicemente indecenti, ancora oggi diffuse dalla
cultura ufficiale.
Fondamentali
per la riuscita dell’impresa furono gli abbondanti finanziamenti
inglesi, la mobilitazione della flotta di S. M. Britannica con
l’ammiraglio Hannibal in testa; l’uso
«prepotente» delle navi mercantili statunitensi,
che trasportarono altri soldati piemontesi travestiti da garibaldini;
l’intervento delle truppe coloniali dell’Impero
Britannico e le tante legioni straniere, delle quali faremo
cenno tra poco. Ma soprattutto va ricordato l’impegno pluriennale
di preparazione dei servizi segreti inglesi
che avevano coinvolto massoneria, mafia, alti ufficiali borbonici,
corruttibili ed imbroglioni, e traffichini ed avventurieri di ogni
risma. «Elementi», tutti questi, di fondamentale importanza
e tanto
decisivi per la conquista della Sicilia e della Napolitania, che ancora
oggi è ... vietato parlarne nelle scuole. E che la cultura
ufficiale
può occultare soltanto grazie al monopolio
dell’informazione ed
all’ultracentenario «lavaggio dei cervelli». Tutti
questi elementi sono
in verità necessari ed indispensabili per comprendere la crisi
successiva all’annessione della Sicilia, la qualità della
classe
politica, pseudo dirigente, locale e tanti altri fatti.
Comprendiamo,
cosí, ma non giustifichiamo, la penosa realtà siciliana,
l’arretramento
economico e industriale, la subordinazione all’
«Imperialismo interno»
delle regioni settentrionali, l’uso della corruzione e del
clientelismo
come «sistema» di governo ed i tanti guai che ci continuano
ad
affliggere.
Non
si può non parlare, in proposito, della Mafia, come strumento di
«colonizzazione» dei governi e dei partiti centralisti per
oltre un
secolo e forse ancora di piú ...
Per
ragioni di spazio, in questo mio lavoro, debbo, purtroppo, limitarmi a
una veloce sintesi. L’impresa dei «mille» fu una
grande sceneggiata.
Allo «sbarco» di Marsala solo la comunità inglese
festeggia Garibaldi.
Alla battaglia di Calatafimi Garibaldi combatte, in realtà,
solamente
contro la pattuglia, in ricognizione, del maggior borbonico Sforza.
Mentre il generale Landi, inetto e traditore, «blocca», a
debita
distanza, migliaia di soldati napolitani bene armati e ben addestrati.
Ed ordina allo stesso Sforza di ritirarsi, consentendo ai Garibaldini
di vincere una battaglia che già era per loro irrimediabilmente
persa.
Analoghi episodi avvengono a Palermo, a Milazzo e via via in tutta la
Sicilia ed in tutto il Meridione d’Italia. La Mafia in Sicilia e
la
Camorra a Napoli organizzano e gestiscono il «consenso».
Tutt’altro che
sincero e spontaneo, laddove questo viene, in qualche modo,
manifestato.
A
questo punto ci pare doveroso fare cenno ad alcune importanti presenze
«straniere» al servizio della spedizione dei
«mille», anche questo
depennate dalla storia ufficiale e dai testi scolastici.
Inglese
è il colonnello Giovanni Dunn, cosí come sono inglesi i
«leggendari»
Peard, Forbes, Speeche (il cui nome Giuseppe Cesare Abba, non potendolo
sottacere, trasforma nell’italiano «Specchi»). A
questi si aggiunge il
«segretario» di Lord Palmerston, Evelyn Asheley,
«consigliere» e guida
politica di Garibaldi.
Numerosi
gli ufficiali ungheresi: Türr, Eber, Erbhardt, Tukory, Teloky,
Magyarody, Figgelmesy, Czudafy, Frigyesy e Winklen. La Legione
Ungherese diviene preziosa per l’occupazione della Sicilia e per
tante
battaglie nei territori napolitani. È utile ricordare che la
Legione
Ungherese sarà utilizzata per altri sei anni per la lotta contro
la
resistenza napolitana, denominata «brigantaggio» dalla
cultura
ufficiale italiana. Si macchierà di orribili carneficine contro
la
popolazione napolitana.
La
«forza» dei «volontari» polacchi aveva due
ufficiali superiori di
spicco: Milbitz e Laugé. Fra i Turchi spicca Kadir Bey. Fra i
Bavaresi
ed i Tedeschi di varia provenienza si deve ricordare Wolff, al quale
viene affidato il comando dei disertori tedeschi e svizzeri, già
al
servizio dei Borbone ... È veramente triste fare questo elenco,
che
potrebbe continuare. Ci limitiamo a ricordare che vi fu pure
l’apporto
di battaglioni di algerini (Zwavi) e di Indiani. Sí: Indiani
dell’India, messi a disposizione di Garibaldi dal Governo di Sua
Maestà
britannica. Vergogna!
Il
4 agosto 1860 le leggi del regno sabaudo (cioè del
«Piemonte») vengono
estese anche alla Sicilia, con conseguenze piú disastrose di
quelle
dell’occupazione militare.
D’altra
parte Garibaldi a Salemi il 14 maggio del 1860 - pochi giorni dopo lo
sbarco - aveva assunto la dittatura in nome di «Vittorio Emanuele
re
d’Italia». L’immagine di un Garibaldi, democratico e
repubblicano,
rispettoso delle prerogative autonomiste dei Siciliani, sarebbe stata
costruita, per altre esigenze, in epoca successiva.
Inutile,
a questo punto, parlare del «plebiscito», che peraltro si
svolse «dopo»
o di altro. Significativa è, invece, la
«rivoluzione» scoppiata a
Palermo il 15 settembre 1866, che durò sette giorni e mezzo.
La
città venne bombardata dal mare e occorsero ben 40.000 soldati
per
domarne la resistenza. Migliaia i morti ... dimenticati, cosí
come le
feroci rappresaglie e le fucilazioni.
Sommosse
e disordini avvennero prima e dopo quella rivolta in tutta la Sicilia e
saranno agevolate dalla grande crisi economica che seguí
all’annessione, ma soprattutto dal desiderio di libertà e
di
indipendenza del Popolo Siciliano.
L’emigrazione,
sconosciuta prima
del 1860, divenne un vero e proprio esodo di dimensioni bibliche.
Prima
della «conquista» del Sud, in realtà, erano soltanto
i settentrionali,
molto piú poveri dei Siciliani e dei Napolitani, a prendere la
triste
strada dell’emigrazione. Nelle Due Sicilie, infatti, esistevano
industrie, agricoltura fiorente, un’immensa flotta mercantile e
tante
occasioni di lavoro. Ma di questo aspetto ne parleremo in modo
specifico in altra occasione.
Il
desiderio di libertà e di autogoverno dei Siciliani sopravvisse
anche
all’oppressione, e vi si ribellò. I Fasci di lavoratori
Siciliani,
sorti come movimento sindacale e socialista, finiranno con il colorarsi
di Sicilianismo e di Autonomismo, come dimostra il
«memorandum» consegnato a Commissario Regio Giovanni
Codronchi nel 1896.
Durante
la prima guerra mondiale, la Sicilia fu la Regione
«italiana» con il
maggior numero di morti, nonostante fosse la piú lontana dal
fronte.
Con
il Fascismo il divario tra la Sicilia ed il Nord Italia - soprattutto
nel periodo dell’autarchia - aumentò a dismisura;
perché qui si era
obbligati a comprare i prodotti delle industrie del Nord Italia ad alti
costi, mentre si dovevano cedere a basso prezzo il grano e gli altri
prodotti agricoli tipici.
Per
la verità queste misure discriminatorie in Sicilia erano
iniziate fin
dal 1860 con le tariffe doganali; ma durante il ventennio fascista si
aggravarono.
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Palermo: Piazza Politeama
Comizio di Concetto Gallo e di Attilio Castrogiovanni (di spalle)
Foto Martino
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Nel 1942 Mussolini ordinò che i funzionari e i dipendenti
statali
siciliani fossero trasferiti in Continente e che fossero sostituiti da
italiani provenienti da altre regioni. Temeva, infatti, il risorgente
indipendentismo siciliano, mai spento, che segretamente si
riorganizzava. La seconda guerra mondiale sarebbe costata ai Siciliani
bombardamenti e distruzioni, le cui testimonianze sono ancora visibili.
Poco
prima dello sbarco degli Alleati (1943), nacque e si estese in Sicilia
il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. I principali
esponenti
furono: Andrea Finocchiaro Aprile, Antonio Varvaro e Attilio
Castrogiovanni. Aderirono uomini di cultura, imprenditori, studenti,
contadini, lavoratori, reduci di guerra e cittadini di ogni estrazione.
Fu un fenomeno improvviso e travolgente. Anche se lungamente sognato ed
in parte preparato nei decenni precedenti in clandestinità.
La
Sicilia, stanca delle sofferenze, delle umiliazioni e delle scelte
politiche - economiche a favore del Nord Italia, rivuole
l’indipendenza. Il Popolo Siciliano vorrebbe, anzi, ottenere un
«plebiscito» sulla propria indipendenza, ma gli Alleati lo
«riconsegnano» al Governo Italiano. Ci saranno
manifestazioni di
piazza, morti e feriti. Invano.
Fu
costituito anche l’EVIS (Esercito Volontario per
l’Indipendenza della
Sicilia). Primo comandante fu Antonio Canepa, che usò lo
pseudonimo di
«Mario Turri». Pseudonimo con il quale aveva firmato
l’opuscolo «La
Sicilia ai Siciliani» e il giornale clandestino «Sicilia
Indipendente».
«Canepa-Turri» fu ucciso il 17 gennaio 1945 a Randazzo. Con
lui
morirono Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice. Secondo Comandante
dell’EVIS fu Concetto Gallo (pseudonimo «Secondo
Turri»). Gallo fu
preso prigioniero, dopo la battaglia svoltasi a San Mauro di
Caltagirone, il 30 dicembre 1945. Con Concetto Gallo l’EVIS era
diventato veramente operativo. ed aveva promosso molti conflitti ed
azioni di guerriglia.
Sommosse
con vittime ci furono a Catania, a Palermo, a Montelepre, a Comiso e in
tanti altri centri piccoli e grandi della Sicilia. Fu una grande lotta
popolare, i cui echi nel 1945 arrivarono a San Francisco, alla
Conferenza costitutiva dell’ONU, ed ai ministri degli esteri
riuniti a
Londra.
Il 15 maggio 1946, con il noto decreto legislativo, Umberto II re
d’Italia, promulgò lo Statuto Speciale di Autonomia della
Regione
Siciliana.
Era
una via di mezzo fra la richiesta di indipendenza e la restaurazione
dello Stato centralizzato. Nel 1948 sarebbe diventato parte integrante
della Costituzione italiana.
L’Autonomia
serví per ingannare il Popolo Siciliano e per vanificarne le
aspettative. Lo Statuto Siciliano, infatti, non è stato mai
applicato
integralmente dal 1946 fino ad oggi. Ha subíto, anzi,
«violenze»
inaudite quali la soppressione di fatto dell’Alta Corte ed una
serie di
«mutilazioni».
La
Regione Siciliana, anziché essere uno strumento di democrazia e
di
autogoverno al servizio del Popolo Siciliano, è stata
trasformata in
una struttura elefantiaca, clientelare, al servizio dei partiti
italiani e dei loro complici, che hanno continuato ad asservire gli
interessi siciliani a quelli del Nord Italia. Tutto ciò,
nonostante la
presenza di potenzialità che sarebbero preziose per la Sicilia.
I
Governi regionali sono spesso la «fotocopia» dei governi
centrali, come
dimostrano anche le cronache piú recenti.
Il
Sicilianismo, però, non è stato sconfitto. È
sempre presente sulla
scena politica. E ciò che oggi avviene nel mondo, alle soglie
del terzo
millennio, nel rimettere in discussione tutto, ne conferma la
validità
e l’attualità.
Si
aprono, infatti, piú vasti orizzonti. Molti miti, imposti con la
forza,
si sgretolano. Le nazioni «abrogate» dagli Stati
ottocenteschi vengono
accolte a pieno titolo all’ONU.
Anche per la Sicilia si
riaccende la
speranza, ma nessuno potrà regalarle l’autogoverno.
Saranno quanti amano veramente la Sicilia che dovranno lavorare
seriamente, onestamente, pacificamente e democraticamente, ma con
fermezza, per far sí che il Popolo Siciliano esca dal letargo e
riconquisti il diritto di intraprendere il cammino per un avvenire di
progresso, di libertà e di indipendenza. Una speranza, dicevamo,
ed un
augurio che estendiamo alle altre nazionalità abrogate e, prima
fra
tutte, alla Nazione Napoletana. Con la quale la Sicilia ha condiviso il
dolore e la vergogna di dover patire, dopo il 1860, violenze, genocidi,
rapine, sfruttamento, corruzione, deculturazione, subordinazione agli
interessi del Nord-Italia ...
Dobbiamo
capire che a sostegno dell’imperialismo italiano interno del Nord
sul
Sud giocano un ruolo determinante le attività e gli affari della
mafia
in Sicilia e della ‘ndrangheta, della corona unita, della
camorra, ecc.
nelle altre realtà meridionali. Non sono fatti casuali.
Cosí come non è
casuale l’ascarismo dei rappresentanti politici siciliani
e napolitani.
Voglio
dire, tuttavia, che le «presenze» incompatibili ed
inquietanti, alle
quali ho fatto riferimento, non devono scoraggiarci nella lotta
intrapresa per la rinascita, per la libertà e per il recupero
delle
nostre vere identità nazionali o per il recupero della memoria
storica
o per rivendicare il diritto dell’avvenire. Debbono, anzi,
motivare
maggiormente il nostro impegno politico e culturale. Che è un
impegno
anche contro queste «presenze». Un impegno
prioritario in tutti i sensi.
Sono
molte oggi in Sicilia le sigle di partiti o di movimenti o di gruppi
che si richiamano, nelle rispettive denominazioni, al Sicilianismo. Fra
queste non mancano sigle di comodo nelle quali la sicilianità
è
richiamata per indicare la presenza localistica di un
«gruppo», magari
in attesa di contrattare l’ingresso o il ritorno
nell’ambito del
partito unitario piú generoso.
Non
intendo fare, però, di tutte le erbe un fascio. Non escludo che
esistono movimenti e persone in buona fede e realmente sicilianisti.
Mi limito a dire che il Fronte
Nazionale Siciliano «Sicilia Indipendente» è
il movimento indipendentista che, con coraggio, con onestà e con
programmi politici ben definiti, dal 1964 conduce una lotta coerente e
democratica al servizio esclusivamente della Sicilia, della quale vuole
il progresso, il benessere, la rinascita economica, morale e politica.
E ne vuole il reinserimento nei congressi internazionali, dai quali la
Sicilia è stata esclusa per la sua attuale condizione coloniale.
Il
F.N.S. si vanta, altresí, di condurre da vari decenni una lotta
intransigente contro la mafia, che considera «strumento» di
colonialismo, oltre che male in sé, pernicioso per la
civiltà e per
l’Umanità.
Nel
1996 è sorta l’Alleanza per la Sicilia Democratica che
vuole coordinare
le tre anime del Sicilianismo (autonomista, indipendentista e
federalista). Vi hanno aderito, senza perdere le rispettive
identità,
il Fronte Nazionale Siciliano «Sicilia Indipendente»,
Sicilia
Democratica in Europa e diverse associazioni culturali a carattere
fortemente e «sinceramente» sicilianista.
Il
Fronte Nazionale Siciliano ha un peso morale e politico molto maggiore
di quella che è la consistenza numerica dei voti conseguiti
nelle varie
competizioni elettorali. Presenza numerica che, tuttavia, negli ultimi
anni si è fatta piú consistente.
Il
Fronte Nazionale Siciliano può, altresí, vantare la
presenza di un suo
valido rappresentante nel Consiglio Comunale di Santa Venerina in
provincia di Catania. Si tratta del Prof. Salvo Musumeci, recentemente
eletto. Musumeci è altresí il Presidente del
«Gruppo Jonico-Etneo» del
F.N.S. e svolge un’intensa attività, sia politica che
culturale, di
alto livello e fortemente trainante. Ci sia consentito di mandare a lui
un affettuoso augurio di buon lavoro, anche a nome di tutti i lettori.
Non
sarebbe completa questa «sintesi» se non facessi un
fortissimo
riferimento agli Emigrati Siciliani, ovunque essi siano. Il F.N.S. li
considera la punta avanzata del Sicilianismo, perché sono
proprio loro
che - consapevolmente o no - hanno custodito e tramandato i valori, la
cultura, la lingua della Nazione Siciliana. Piú di quanto non
sia
avvenuto nella stessa Sicilia.
Non
deve apparire fuori luogo se colgo, anzi, l’occasione per dire
che il
F.N.S. li vuole partecipi della lotta per la rinascita della Sicilia, in
prima persona, senza intermediari, perché - come ho
detto - sono essi stessi la Nazione Siciliana
e ne costituiscono, anzi, la parte maggiore rispetto a quella che
è
rimasta e vive ed opera in Sicilia. Essi e i loro discendenti.
Ai
fratelli Siciliani all’estero ritengo doveroso ricordare che il
F.N.S.
«Sicilia Indipendente» non ha mai voluto, né vuole
da loro, soldi o
aiuti economici. Non perché sia ricco. Ma perché gli
EMIGRATI SICILIANI
non devono delegare ad altri a compiere una lotta politica che è
la loro lotta.
E
dico questo anche per evitare che eventuali loschi traffichini
strumentalizzino l’amore per la Sicilia e la nostalgia o la
nobiltà
d’animo degli Emigrati Siciliani, al solo scopo di
«scroccare» soldi o
altro.
È fuori
luogo dovere fare queste puntualizzazioni? Speriamo di sí. Ma
crediamo
che sia utile farle, anche per il buon nome del F.N.S. e della Sicilia.
Megghiu
diri
«chi sacciu?», ca «chi sapía?»!
(Meglio dire «cosa
so?»
anziché «che sapevo?»)
Fatte
queste premesse, mi sia consentito di dire che il Fronte Nazionale
Siciliano «Sicilia Indipendente» non sarebbe il partito del
Popolo
Siciliano, della Nazione Siciliana, che è, se non avesse tenuto
e non
tenesse presenti, in ogni attimo della propria azione politica ed in
ogni programma ed in ogni pensiero, gli Emigrati di ieri e di oggi., i
loro sentimenti, le sofferenze e la capacità di reagire e di
affermarsi, la cultura ed i valori, che quasi sempre si sono tramandati
e si continuano a tramandare, da diverse generazioni e per le future
generazioni.
Certamente il nostro
desiderio ed il
nostro sogno rimane quello che tutti possano tornare.
Ma, diciamolo francamente: è impossibile. Soprattutto per le
generazioni che si sono ramificate in altri continenti o, per non
andare lontani, in alcune regioni europee ed italiane in particolare.
Si pensi alla «Padania», nel cui territorio negli anni
Cinquanta e
negli anni sessanta si è verificata una vera e propria
«deportazione»
di lavoratori siciliani, spesso con le loro famiglie. Ai quali in
Sicilia era stato negato il diritto al lavoro ed alla
produttività per
rafforzare l’industrializzazione del Nord-Italia ed il suo
imperialismo
interno sul Sud e sulla Sicilia. A tal proposito l’economista
Giuseppe
Frisella Vella diceva che in Italia l’interesse nazionale
coincideva soltanto con gli interessi delle regioni settentrionali.
Aveva ragione ed i fatti continuano a confermarlo.
Dicevamo:
il «ritorno» fisico in Sicilia per tutti è
impossibile. Ma portare la
Sicilianità dove sono gli Emigrati o, piú esattamente,
riconoscere,
apprezzare, rivalutare il patrimonio di Sicilianità che
c’è nel cuore e
nella mente di ogni Siciliano all’estero, è possibile e
doveroso. Ed è
utile non solo al recupero della identità siciliana, ma
soprattutto
alla rinascita della stessa Nazione Siciliana.
Abbiamo
esempi commoventi di come - non solo in Padania o in Europa, ma anche
in Australia, in America (Nord, Centro e Sud), in Africa e in Asia - i
nostri Emigrati per generazioni abbiano mantenuto legami con la
Sicilia, anche quando avessero perduto nel tempo i rapporti personali
con i parenti e gli amici lasciati al momento della «spartenza».
Sia
in Sicilia che all’estero, però, i governi ed i partiti
italiani hanno
messo in moto una capillare opera di «desicilianizzazione»
e di
«deculturazione» per recidere ogni rapporto e per
cancellare l’identità
siciliana.
È
un’opera che tuttora viene eseguita, anche con maggior vigore e
con
ogni mezzo, persino con finanziamenti apparentemente destinati ad
iniziative sociali o pseudo-culturali. È un momento
difficilissimo, nel
quale si può perdere di colpo un immenso patrimonio morale,
costruito
in piú di un secolo.
Occorre, quindi, resistere
ed
organizzarsi adeguatamente.
Mi
sia consentito, tuttavia, un incoraggiante paragone. Per i Siciliani
oggi si ripetono le condizioni per le quali, circa cento anni fa, fra
gli Ebrei sparsi in tutto il mondo, non si credeva piú alla
possibilità
di fare rivivere lo Stato d’Israele o per gli stessi Ebrei di
tornare
nella terra dei loro antenati, dopo duemila anni dalla diaspora.
Soltanto una minoranza lo sperava e si batteva perché ciò
avvenisse.
Ebbe ragione.
Fratelli
Emigrati Siciliani, non mi posso dilungare di piú in questo
articolo su
un argomento, che tratteremo - mi auguro assieme - in altra occasione.
Perdonatemi, quindi, se
sintetizzo il
tutto in un paragone del quale Voi certamente coglierete il messaggio
essenziale.
Le
analogie, infatti, fra la Nazione Ebraica e quella Siciliana sono
molte. Ebbene, dalle tante similitudini che possiamo ricordare fra
l’uno e l’altro popolo, traiamone un insegnamento. Ogni
singolo
Siciliano, infatti, può fare per la Sicilia, quello che ogni
singolo
Ebreo ha fatto e fa per Israele.
Può,
cioè, impegnarsi a lavorare per la rinascita ed il riscatto per
la
Sicilia pur essendo lontano migliaia di chilometri dalla Patria e
«pellegrino» in diverse località del Mondo, vicino o
lontano ad altri
conterranei. Questo impegno farà battere all’unisono il
cuore di tutti
i Siciliani, rianimerà il grande e generoso cuore della Nazione
Siciliana.
Conseguiremmo,
cosí, un ritorno ideale di tutti i figli, lontani dalla Sicilia,
in
Sicilia. Sarebbe altresí un «viaggio» della Sicilia
per vivere accanto
ai propri figli lontani. I legami, quindi, anche fisici, ed anche
attraverso scambi culturali, politici, economici, turistici, vanno
rinsaldati cosí fortemente da lasciarne fuori i
partiti
italiani ed i loro tentativi di annientare i sentimenti di
Sicilianità
ed i valori. Che, invece, noi vogliamo e dobbiamo rinsaldare e
rinnovare.
Ma
dobbiamo osare di piú. Dobbiamo fare in modo che i Siciliani
all’estero, le loro famiglie, i loro discendenti, si riconoscano
come «Comunità Siciliana»,
si presentino, si aiutino, siano solidali. E facciano convivere la
cultura e le tradizioni della Nazione Siciliana con quelle degli altri
Stati, nei quali vivono ed operano come cittadini leali e onesti.
Il
Fronte Nazionale Siciliano «Sicilia Indipendente» auspica
comunque che,
se non tutti, almeno il maggior numero possibile dei Siciliani
all’estero, a qualunque «generazione» di Emigrati
appartengano, possano
ritornare - pure fisicamente - in Sicilia per reinserirsi piú
direttamente nella lotta e per apportare nuove idee ed esperienze.
«Chi voli
la Sicilia?»
si domandava il poeta Di Salvo in una poesia natalizia e rispondeva:
«Voli ca s’arricogghiunu li figghi so’ luntani.
Chiddi ca sunnu all’estiru, trattati comu cani»
ed anche tutti gli altri. Aggiungiamo noi con affetto e con
determinazione. Le cui intensità può comprendere
pienamente soltanto
chi è stato o è emigrato e chi ha la Sicilia nella mente
e nel cuore
sempre, in ogni attimo di ogni suo giorno. Per tutta la vita. In ogni
luogo e in ogni circostanza.
Fratelli Siciliani, questo
«ritorno», questa «rimpatriata» almeno
idealmente, deve e può avvenire.
Il piú presto possibile, nel miglior modo possibile.
Non sarebbe completa
questa
«cronaca» se non tornassi, seppur brevemente, a parlare
della costituzione dell’ Alleanza per la Sicilia Democratica»
della quale il Fronte Nazionale Siciliano è una componente
«costitutiva».
«Sicilia
Democratica»
è un recente soggetto politico, essendo sorte nel 1996. Vuole
essere un’aggregazione
non soltanto finalizzata ad una migliore strategia elettorale, capace
di contrastare le mega-organizzazioni dei partiti dominanti, capace di
coordinare e valorizzare le tre anime nobili del Sicilianismo, che sono
quella «indipendentista», quella «federalista»
e quella «autonomista».
Per quest’ultima, poiché il termine
«autonomista» è inflazionato,
dobbiamo precisare che intendiamo esclusivamente
quell’autonomismo che
si riconosce nelle ragioni della «specialità» dello
Stato Siciliano e
nella riaffermazione della identità nazionale del Popolo
Siciliano.
Presidente
dell’Alleanza
è Francesco Mannino. Segretario Politico, io stesso.
Non mancheremo di parlare
- in altra
occasione - dei programmi e delle finalità di «Sicilia
Democratica».
Come è ovvio, la
responsabilità di una grande, coinvolgente, qualificata lotta
«indipendentista»
rimane comunque al Fronte Nazionale Siciliano «Sicilia
Indipendente».
Non a caso gli osservatori piú attenti definiscono, noi
militanti,
«sicilianisti di progresso», ma soprattutto «indipendentisti».
Cosa, questa, che ci onora e ci responsabilizza.
Parlare
del Fronte Nazionale Siciliano significa parlare contemporaneamente
dell’Indipendentismo Siciliano odierno e delle prospettive che
questo
ha per il futuro immediato e per il futuro piú lontano - e,
senza
dubbio, molto affascinante - del prossimo millennio.
Quella
di rivendicare il diritto all’avvenire, di guardare al futuro ed
al
progresso è una connotazione specifica
dell’indipendentismo Siciliano,
del vero autentico indipendentismo Siciliano, in ogni tempo. Anche nel
nostro.
«Noi
non volevamo diventare piú piccoli ed isolati. Noi volevamo (e i
nostri
Statuti parlavano chiaro) conseguire una individuazione come Popolo, ma
nel contempo confederarci con la stessa Italia e con altre Nazioni
similari e specialmente con quelle gravitanti sul Mediterraneo, mare
nel quale noi fiorimmo e del quale siamo il centro» - scrive
nel
1976 Attilio Castrogiovanni, protagonista di primo piano della
rivoluzione separatista del dopoguerra, ad un compagno di lotta che a
sua volta era stato il leader dell’ala militarista, Guglielmo
Paternò
di Carcaci, che in quel momento avrebbe voluto scrivere un libro di
memorie sul Movimento Indipendentista Siciliano.
«I nostri
avversari»,
continua Castrogiovanni, «non
capirono, perché non vollero capirci, ma neanche udirci. Non
seppero,
perché non vollero saperlo, che noi lanciammo la idea della
Federazione
Europea e Mediterranea, quando ancora essa non era ancora nata nei
cervelli dei vari Schumann, De Gasperi, Churchill, Spaak ed altri».
Queste
parole, del tutto occasionali, ci sembrano le piú adatte per
dare
l’idea di come anche l’Indipendentismo deldopoguerra
guardasse avanti,
non fosse conservatore o reazionario, ma fosse, invece, capace di
proposte che riportassero la Sicilia nel Mediterraneo e nel Mondo e
verso i tempi moderni, a quel tempo impensabili.
Intendiamoci:
già Mario Turri, il primo Comandante dell’EVIS,
nell’edizione del 1944
del volumetto «LA SICILIA AI SICILIANI», guarda al futuro
ed ai
contenuti sociali che la scelta indipendentista deve avere: «La
Sicilia di domani - egli scrive a conclusione delle proprie
riflessioni - sarà quale noi la vogliamo: pacifica,
laboriosa, ricca, felice, senza tiranni e senza sfruttatori».
Non
voglio farmi prendere la mano da citazioni che dimostrino la
connessione fra indipendentismo siciliano e la visione progressista
anticipatrice di idee e di progetti, che è una delle maggiori
caratteristiche della lotta indipendentista di ogni epoca. Mi perderei
in una mare di testimonianze, una piú interessante
dell’altra.
Un’ultima
citazione è, tuttavia, doverosa e si riferisce ad Andrea
Finocchiaro
Aprile, che fu il leader contro il quale si sarebbero scatenati il
livore, le menzogne, le calunnie dei nemici dell’Indipendentismo:
«La
Sicilia deve tornare ad occupare nel Mediterraneo e nel Mondo il posto
che la Sua Storia, la posizione geografica e la operosità del
Suo
Popolo Le hanno assegnato».
Il
Fronte Nazionale Siciliano «Sicilia Indipendente», che
dell’Indipendentismo Siciliano e dell’ansia di progresso e
di libertà
del Popolo Siciliano, attraverso il suo lavoro, si è conquistato
il
ruolo di rappresentante, è anche erede, continuatore ed
innovatore di
quegli ideali, molto validi ed attuali. Ideali che dovranno essere
posti a disposizione della Società del terzo millennio e delle
sue
esigenze.
Ed
è per questo che il Fronte Nazionale Siciliano, ad esempio, si
confronta con i temi della globalizzazione dei mercati e
dell’economia,
del dilagare del consumismo, del lavaggio dei cervelli che i
«Grandi
Fratelli» possono compiere, della Mafia, del suo trasformismo,
della
internazionalizzazione della criminalità, della lotta contro la
povertà, della qualità della vita, dell’ecologia,
della «gestione» del
Mediterraneo, del diritto alla salute, della pace e della non violenza,
della solidarietà internazionale ... e di tutte le problematiche
che
l’evoluzione dei tempi e dell’Umanità comporta. Ma
che non possono
essere neppure lontanamente compresi, in Sicilia, se il Popolo
Siciliano non avrà consapevolezza di se stesso, della propria
identità,
della propria posizione geografica, della propria condizione coloniale.
Non per egoismo
della sopravvivenza, ma per crescere meglio e per dare il proprio
contributo alla costruzione di un mondo migliore.
Le
problematiche di oggi ed ancora di piú quelle di un futuro - che
è già
iniziato - rendono, infatti, piú attuale, piú urgente,
piú necessaria
di quanto non lo sia stato nel passato, in Sicilia come altrove, la
lotta per l’affrancamento del colonialismo e per
l’indipendenza delle
nazionalità, abrogate nel secolo scorso con la forza e con
l’inganno.
Cosa questa che è avvenuto soprattutto per la Sicilia e per
quella
macronazionalità che oggi viene denominata
«Mezzogiorno» d’Italia
(probabilmente per non farne ricordare la discendenza diretta dalla
«Magna Grecia»). Non diversa è la situazione della
Sardegna, nella
quale la parte politica piú vivace è quella che si
richiama al
Nazionalismo Sardo.
Ed
ecco perché il F.N.S. «Sicilia Indipendente» ha
sempre posto alla base
della propria ideologia anche un pensiero specifico di Franz Fanon,
secondo il quale non si potrà mai fare
«internazionalismo» se si salta la tappa nazionale.
In
questa prospettiva si muovono le rivendicazioni politiche del F.N.S.
«Sicilia Indipendente» che altri cercano di plagiare o di
imitare per
annacquarne il significato e per scollegarle dal progetto di riscatto e
di rinascita del Popolo Siciliano. In questa prospettiva, quindi, il
F.N.S. rivendica la proprietà del petrolio al Popolo
Siciliano;
la revisione degli accordi italiani o europei che penalizzano la
Sicilia e la sua agricoltura; la costituzione di tutto
l’arcipelago
siciliano, di tutto cioè l’attuale territorio della
Regione Siciliana,
in Zona Franca integrale; la realizzazione di una industrializzazione e
di una economia autopropulsiva; il recupero della memoria storica e la
difesa della lingua e della cultura siciliana e, cosí, tante
altre
«restituzioni» e nuove pretese, che sarebbe troppo lungo
elencare. Ma
delle quali fanno parte il nostro «NO» alla
costruzione del
Ponte sullo Stretto, la lotta contro la Mafia della quale ho già
parlato, i nostri concetti di «centralità»
mediterranea e di Sicilia
«produttiva».
Per
concludere: crediamo nella solidarietà e nella fratellanza fra i
Popoli. Non odiamo nessuno, neppure i nostri nemici, i nostri
sfruttatori o i traditori. Ripudiamo la violenza. Vogliamo,
però,
giustizia e libertà. Condanniamo senza riserve
l’imperialismo interno
delle Regioni Settentrionali, come immorale, antistorico, incivile,
razzistico e disonesto. Indegno di sopravvivere al 20° secolo.
Lavoriamo,
quindi, affinché la Sicilia - liberatasi dai ceppi del servaggio
e
della emarginazione - possa tornare in Europa, nel Mediterraneo e nel
Mondo. Ed auspichiamo che questo «ritorno» le consenta
anche di
riabbracciare tutti gli altri Popoli del Mondo (e primi tra tutti i
nostri fratelli della Nazione Napoletana), dai quali ci ha
«separato»
la violenza e la politica dei Governi e dei partiti italiani,
succedutisi nell’esercizio del potere dal 1860 in poi. Popoli e
Mondo
dai quali ci allontana - lo ripetiamo - fino ad oggi la condizione
coloniale in cui versa il Popolo Siciliano.
Vogliamo
ovviamente che, nell’ottica internazionalista, la Sicilia torni
ad
essere se stessa, torni ad essere per ogni Siciliano «La Matri
nostra immurtali».
Cosí
come vogliamo che ogni Siciliano, a sua volta, senza rinunziare alla
propria identità nazionale, ma anzi rivalutandola, diventi
cittadino
del Mondo. In una società pacifica e plurietnica, alla quale
vorremmo
che appartenesse tutta la Umanità del prossimo Millennio.
Giuseppe Scianò
Segretario del Fronte
Nazionale Siciliano
«Sicilia
Indipendente»
90141 PALERMO
Via Brunetto Latini, 26
tel. 091.329456
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