Documento pubblicato da:
Notiziario. Diocesi di
Isernia-Venafro, anno
XVIII, n. 11, Isernia 30-11-2001
Lettera aperta al signor Presidente
della Repubblica,
dottor Carlo Azeglio Ciampi
Signor Presidente,
perdoni l’iniziativa, che so attuata anche da altri e ciò mi
conferma
nella necessità di levare la voce perché certi luoghi
comuni, ormai
diventati insopportabili, non continuino ad ingannare i semplici.
Partecipavo con gioia ed intima partecipazione alla "festa
dell’unità
d’Italia e delle forze armate" il 4 novembre scorso. Avevamo insieme
pregato in Cattedrale — anche per Lei signor Presidente — e ci eravamo
recati al monumento ai caduti in una mattinata piena di sole.
Tutto bello, tutto coralmente sentito, compreso l’inno nazionale
d’Italia. Poi, la doccia fredda: il suo messaggio, signor Presidente.
Alti pensieri, nobili richiami, doverosa partecipazione. In questo
contesto tanto elevato, l’accenno al Risorgimento e, addirittura, a
quel Garibaldi che, creda, ad Isernia, è tristemente famoso,
insieme
alle sue truppe mercenarie.
Ah, no, signor Presidente, quel richiamo a una storia, per fortuna
quasi dimenticata, è stato proprio fuori luogo.
Creda — e glielo dice un pastore della Chiesa cattolica — nessuno di
noi vuole tornare indietro di centocinquant’anni, se non altro per non
riaprire le piaghe sanguinanti; nessuno di noi vuole ripristinare il
regno di Napoli e la dinastia borbonica, dalla quale peraltro il Sud ha
ricevuto grandi benefici; nessuno di noi vuole rimettere in piedi lo
Stato pontificio, sottratto al legittimo sovrano, con guerra non
dichiarata e quindi contro lo ius gentium, plurisecolare; nessuno di
noi vuole frazionare l’Italia (semmai ci penserà qualche
porzione della
nostra classe dirigente); ma nessuno ci potrà convincere della
bellezza
esaltante di un’azione che a suo tempo, tutta l’Europa, per non dire il
mondo intero, ha stigmatizzato coralmente; nessuno potrà
accettare
l’accomodante esaltazione di un avventuriero armato che con le sue
truppe mise a ferro e fuoco le pacifiche zone del Sud, tra cui la mia
città episcopale. Le teste tagliate degli iserniani esposte al
pubblico
ludibrio sono su stampe e documenti dell’epoca che Ella stessa
potrà
reperire.
Nessuno di noi vuole rivangare il passato, signor Presidente,
soprattutto un tale passato. Non lo può fare nemmeno Lei,
travisando la
storia.
Su casi del genere gli antichi nostri avi dicevano saggiamente: "Parce
sepultis!".
Per carità, signor Presidente, non ci costringa a tirar fuori
dagli
armadi del cosiddetto "risorgimento" certi scheletri ripugnanti.
Cerchiamo insieme di costruire un’Italia migliore, insieme ai nostri
giovani, i quali conoscono la storia e guardano al futuro, senza
ripristinare insopportabili travisamenti di una storia che ormai i
più
avveduti conoscono. Le suggerisco, al riguardo, la lettura di un
simpatico libro di una giovane studiosa d’Italia: [Angela Pellicciari,]
Risorgimento da riscrivere [. Liberali & massoni contro la Chiesa,
con prefazione di Rocco Buttiglione e postfazione di Franco Cardini,
Ares, Milano 1998].
E poi, appena sarà pronto, Le invierò, in omaggio per la
sua
segreteria, un libro che un mio presbitero ha scritto e per il quale ha
già ottenuto un plauso internazionale.
Lasci stare il "risorgimento", signor Presidente, e parliamo insieme di
"rivincita" morale, civile, religiosa che la nostra Italia merita e di
cui tutti, insieme, vogliamo essere artefici operosi, senza nostalgie
per un passato non troppo antico, che ha assai poco da insegnarci.
Perdoni l’ardire, signor Presidente, ma non potevo tenermi dentro
quanto qui Le ho semplicemente accennato. "Nessun silenzio comprato!" —
è uno dei miei motti preferiti.
Con deferente ossequio, La saluto
+
Andrea Gemma F.D.P.
vescovo
15 novembre 2001
