
Ringraziamo
l'amico Antonio Nicoletta per
l'autorizzazione alla pubblicazione. In questo sito potete leggere altri interventi o resoconti
dell'attività di pubblicista dell'autore che da anni si impegna
per ricostruire la memoria storica del paese meridionale.
Web@master
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Lettere ai giornali
di
Antonio Nicoletta
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Al sud assenza di spirito di iniziativa
Ad un lettore di Rapallo, autore della lettera:
"Al sud assenza di
spirito di iniziativa", per il periodo che tratta, vorrei precisare
quanto segue: nelle banche del Sud erano depositati 443 milioni di lire
oro contro i 27 del Piemonte, gli 85 della Toscana, 155 della Romagna,
Marche ed Umbria, 35 degli stati romani etc. Su una popolazione attiva
di 3 milioni di abitanti 2 milioni erano addetti all'agricoltura,
82.000 alle industrie manifatturiere, 48.000 alle tessili, 12.000 alle
metalmeccaniche; in totale 145.000 erano gli addetti all'industria,
190.000 all'artigianato, 780.000 al servizi. Esisteva la pensione per
gli statali (e militari) previa trattenuta del 2% sullo stipendio.
Lungi dall'essere soffocata dal latifondismo (che peraltro nasce
soprattutto dalla distribuzione delle terre demaniali e del patrimonio
ecclesiastico dai conquistatori piemontesi), l'agricoltura godeva della
concessione delle terre demaniali di cui un terzo veniva coltivato dal
contadini per uso proprio e godeva del diritto di erbatico, legnatico,
pascolo su tutte le terre del Re e della Chiesa. Per chiudere si
evidenzia che fino alla conquista del sud, non esisteva emigrazione.
Questa inizierà alla fine dell'ottocento.
Antonio Nicoletta
Noi l’abbiamo chiesta nel 1860 con la
resistenza alla
colonizzazione
piemontese-sabauda che costò, secondo la valutazione fatta
nell’agosto 1861, dal giornale fiorentino "Il contemporaneo" e
riferita
solo ai prime nove mesi di "libertà e unità" 1841
fucilati "istantaneamente", 7127 fucilati "dopo poche ore". I feriti
furono 10.604, prigionieri ed arrestati 20.000, famiglie "perquisite"
2.903, case incendiate 918, paesi incendiati 5. Furono saccheggiate 12
chiese, fucilati 54 sacerdoti e 12 frati. Insorsero 1428 comuni.
In un rapporto ufficiale del ministero degli
Interni si ammetteva
che nei paesi rasi al suolo per rappresaglia erano oltre 40.000 i senza
tetto. Questo solo per i primi nove mesi. Si consideri che lo stato
d’assedio durò circa dieci anni. E senza contare la
rivoluzione
del "sette e mezzo" in Sicilia, nel 1866, la nostra "liberazione" fu un
Viet nam, senza vittoria.
Fu una lotta combattuta da gente che mori gridando
"viva 'o re".
E furono detti briganti
Antonio Nicoletta
Il nostro Presidente della Repubblica, in un
altro suo esercizio
oratorio, ha ancora una volta lasciato che la parola andasse più
in là del limite che una saggia valutazione avrebbe potuto
imporre.
Il suo consiglio agli studenti "...studiate come
l’Italia
diventò una.." credo nasconda un grosso azzardo.
Gli studenti potrebbero prenderlo sul serio e
nella foga di studiare
come avvenne l’unità d’Italia potrebbero anche
consultare libri
finora tenuti accuratamente fuori dai programmi ufficiali.
Ed allora leggerebbero che l’unità
non fu voluta, ma
imposta.
Che il Regno delle Due Sicilie fu annesso con un
plebiscito farsa
dopo essere stato invaso a seguito di una guerra mai dichiarata, e che
l’unità fu effettuata massacrando il suo popolo e
depredandolo
di ogni bene e ricchezza.
Che tale conquista fu fieramente osteggiata dai
sudditi del Regno,
che per dieci anni dovettero per questo subire lo stato di assedio
mantenuto con l’impiego di fino a 120.000 uomini fra esercito e
guardia
nazionale.
Lo storico inglese Denis Mack Smith sostiene che
"il numero di
coloro che morirono in questa lotta fu superiore a quello di tutte le
guerre del Risorgimento messe assieme".
"La retorica unitaria... tentava di soffocare i
fatti nudi e crudi,
esagerando l’ampiezza del consenso che il nuovo regime incontrava
nel
Sud gabellando per pura criminalità comune...il dissenso armato"
(S. Scarpino - La mala unità).
Antonio Nicoletta
pubblicato:

Con riferimento alla lettera di un vostro lettore,
sul numero del
18/09/96, pur concordando in massima parte col contenuto della sua
lettera, mi sembra semplicistico il passaggio che riporta alle
dominazioni spagnole e arabe una "non brillante capacità al
lavoro". Personalmente ritengo che i fattori che possono influire sulla
formazione di un popolo siano tali e tanti che ricondurre il tutto a
pochi motivi identificati sembra un po' velleitario. A prescindere che
la dominazione spagnola l'hanno subita pure in Lombardia (non è
forse in quel periodo che sono ambientati "I Promessi sposi")?
Per quanto riguarda quella araba, in tutte le
cronache e testi di
storia si trovano affermazioni del tipo "E' incommensurabile l'apporto
dato allo sviluppo economico e civile della Sicilia. Essi
rivoluzionarono la produzione agricola con le nuove colture del riso e
degli agrumi; incrementarono la produzione di gelsi e di conseguenza la
produzione della seta, operarono una sapiente opera di canalizzazione
che permise di ottimizzare le risorse idriche dell'isola e curarono lo
sviluppo della piccola proprietà terriera con opportuni
provvedimenti fiscali (p.e. eliminazione dell'imposta sugli animali da
tiro). Resero Palermo una capitale ed il poeta Ibn Hamdis, esule dalla
Sicilia a causa dell'invasione normanna disse della terra natia: "Io
anelo alla mia terra, come nelle tenebre anela al suo paese natio un
vecchio cammello smarrito nel deserto".
18 Sett. 1996 Antonio
Nicoletta
Il padano Bossi che con tono dispregiativo
cita "l’esercito di
Franceschiello", cade, e come non potrebbe, visto il livello culturale
del soggetto, nella trappola che lo porta ad indulgere, anche lui, ad
un luogo comune che da 135 anni farcisce le affermazioni di molti
cosiddetti storici ed opinionisti. Ancora una volta credo sia opportuno
ripetere una verità che ormai comincia ad essere nota e che
libera il Sud e la Dinastia Borbonica da calunnie che dal 1860 la fanno
apparire come la più infame ed inetta monarchia di quei tempi
quando non tentano di trascinarla nel ridicolo. L’esercito di
Franceschiello era ben lungi dall’essere un esercito di
fannulloni e
straccioni come probabilmente se lo raffigura, e si fosse preso la
briga di studiare un po'di più la storia di quel Sud a lui
così inviso, avrebbe potuto verificare che l’Esercito del
Regno
delle due Sicilie era alla pari dei migliori eserciti dell’epoca,
e di
questo poterono rendersene conto anche i Piemontesi, quando a Curtatone
e Montanara, le sorti della battaglia, ormai fortemente compromesse,
furono capovolte dall’intervento della cavalleria borbonica, che,
pensate un po’, faceva parte di quell’esercito di
Franceschiello (mi si
perdoni la forzatura cronologica). Fu sconfitto poiché ebbe come
nemici non solo i soldati di parte avversa, ma anche molti dei suoi
ufficiali, corrotti, al pari di alcuni politici, dal Piemonte e
dall’Inghilterra che da lungo tempo avevano cominciato ad ordire
una
rete di tradimenti. Furono questi che regalarono la vittoria al nemico.
Gli altri, quando poterono combatterono, e con valore.
A Calatafimi, quattro compagnie dello
8° Cacciatori ebbero
ragione di più di mille garibaldesi (1500 circa) e conquistarono
pure la bandiera tricolore che Menotti Garibaldi, ferito, aveva passato
ad un suo compagno. Questo fu ucciso da un soldato borbonico, Angelo de
Vito, che portò la bandiera in Palermo.
La vittoria, ormai certa, non fu
consolidata per il rifiuto che il
Generale Landi oppose al Capitano Corso, che richiedeva aiuto e
rinforzi per incalzare il nemico. Landi era stato pagato 14.000 ducati
da Garibaldi.
L’esercito era quello che al comando
del Colonnello Ferdinando
del
Bosco si batté a Milazzo, al Garigliano, al Volturno, a Gaeta.
Era quello che, stanco di ritirasi senza combattere, di vedere di
giorno in giorno crollare la Patria loro, seppe, quando fu ben
comandato compiere prodigi di valore, mettendo molte volte in forse la
vittoria delle camicie rosse e dei Piemontesi. Era quello che alla resa
finale ebbe l’onore delle armi.
Antonio
Nicoletta
E dagli, è la solita storia del pastore...
Ora ce la si prende coi "tromboni e con le mezze
tacche di
intellettuali meridionalisti" che accusano, udite, udite, di razzismo
il nord.
Credo sia utile riportare alla memoria che il Sud
nel 1860 "viveva
la sua pacifica esistenza, ..non ha altra aspirazione che sottrarsi
alle tempeste della politica europea e di vivere nel suo tranquillo
isolamento:"
Ma il Sig. Cavour non è d’accordo e
con manovre
spregiudicate
quanto efficaci riesce a creare le condizioni per una colonizzazione
proditoria e sanguinosa.
Solo che il Sud, una volta depredato di tutti i
suoi averi non ha
più attrattive, oltre a tutto resiste ad oltranza e manifesta in
tutti i modi il suo lealismo ed attaccamento alla corona borbonica,
tanto che Cavour pensa seriamente di abbandonarlo, progetto che non si
realizza per la sua prematura morte.
Il Sud diventa allora una riserva di emigrazione
(cosa fino ad
allora sconosciuta), di carne da cannone (prima guerra mondiale), di
coloni per le terre occupate in Africa, di mano d’opera a basso
livello
per le industrie durante il cosiddetto "miracolo economico". E mentre
nel nord si sviluppa l’industria (anche coi macchinari asportati
dalle
fabbriche di Pietrarsa, San Leucio, Ferdinandea ecc.), che dà
lavoro ai loro giovani i quali preferiscono il guadagno immediato allo
studio, nel sud si percorre la lunga e faticosa via fatta di studi e
concorsi, unica speranza di emendamento da una vita grama, e che porta
i giovani lontano da casa, ad occupare quei posti di insegnante,
magistrato, impiegato, funzionario o dirigente nei vari campi della
pubblica amministrazione.
Ora tutto questo non va più.
Ora nel nord ad alcuni dà fastidio perfino
l’accento di
questi prefetti, pretori, questori, medici, avvocati, docenti. Mentre
certamente risuonava dolce al cafone, in attesa della scarica mortale,
l’accento piemontese o lombardo del bersagliere o del carabiniere
o
dell’ufficiale che lo condannava a morte solo per aver amato la
sua
terra ed il suo Re.
Vergogna!.
Antonio Nicoletta
Prendiamo notizia che lo stato, al fine di
limitare il flusso di
denaro all’estero per acquisto di benzina ed altri generi in
Slovenia,
ha ridotto il prezzo della benzina nel Friuli Venezia Giulia.
In un’altra regione, la Sicilia,
anch’essa a statuto
speciale, che
produce petrolio grezzo in quantità che si pone fra il 5 e il
10% del fabbisogno nazionale e dove si raffina circa metà del
grezzo lavorato in Italia, di tutto questo resta invece solo
l’inquinamento prodotto dalle raffinerie (che sono ben 5), dai
campi
petroliferi e dalle piattaforme, con conseguente rovina di coste fra le
più belle del mondo.
Anche se è previsto dalla Costituzione
Siciliana la
possibilità di far rientrare fondi in ordine alla produzione
mineraria, tutto questo non è mai stato attivato e sulla carta
la Sicilia è creditrice di parecchie decine di migliaia di
miliardi. Continua invece ad erogare petrolio, prodotti petroliferi,
salgemma ad industrie che oltretutto le tasse le pagano altrove ponendo
le rispettive regioni fra i grandi contribuenti e la Sicilia fra le
grandi sfruttatrici.
Antonio Nicoletta

Nel numero di Marzo 1997 di Storia Illustrata, a
firma Simona
Lualdi, compare, per la rubrica "Immagini per la Storia", un articolo
dal titolo "In carrozza ……"
Il suo contenuto, contraddittorio per sé
stesso in più
parti, mi spinge ad alcune riflessioni. L'Autrice mette tutto nel
contesto di un Regno che risente delle conseguenze di una dura
repressione poliziesca, che ha un popolo che vive di espedienti ed un
Re che non saprà far altro che offrire "Feste, Farina e Forca".
Ci sentiamo di dissentire vivamente da tali affermazioni, riporto di
notizie tratte da libelli e da libri di parte. In questo articolo,
ancora una volta, dopo ben 136 anni, con riferimento ai Borbone
(infatti, perché Borboni ?), convive un dualismo di
realtà storica e di citazione di vecchi luoghi comuni che ormai
grazie al cielo, cominciano ad essere messi in discussione. Troviamo
frasi del genere: "voluta dai Sovrani per dare prestigio al loro Regno,
la ferrovia contribuì al progresso della penisola italiana", ed
affermazioni del tipo: "..perché si tratta dell'ultimo capriccio
di un re affascinato dalle novità e dall'idea di far apparire il
suo regno come uno dei più progrediti d'Europa."
Ed in un modo piuttosto acritico si continua a
perpetuare la
diffusione di notizie faziose propagate da una stampa che all'epoca
aveva motivo di essere poiché bisognava esorcizzare
l'aggressione proditoria ad uno stato che altro non desiderava se non
vivere in pace, ad un re "..che non ha altra aspirazione che sottrarsi
alle tempeste della politica europea e di vivere nel suo tranquillo
isolamento".
Bisognava giustificare, continuando in una
massiccia campagna
diffamatoria spregiudicata quanto efficace, e dalle lontane origini,
un'annessione effettuata in seguito ad un discutibile plebiscito che
chiuse una guerra mai dichiarata, ponendo la parola fine ad uno stato
che nacque con Ruggiero il Normanno e che da questo e da Federico II
ebbe il primo parlamento europeo.
Con ciò fu messa la parola fine alla
storia di uno stato che
ebbe per capitale la città terza in Europa per numero di
abitanti e prima per fermenti artistici, culturali e sociali; fu messa
la parola fine ad uno stato che aveva il più alto indice di
industrializzazione della penisola (costruiva locomotori per Russia e
America, cannoni, rotaie, macchine navali, motori elettrici ... etc),
che aveva le più ampie riserve di zolfo (materiale per l'epoca
strategico e fortemente concupito dall'Inghilterra che per questo si
adopererà per la caduta del Regno).
Avviando successivamente il processo di
colonizzazione che in dieci
anni di stato di assedio opporrà al Piemonte una resistenza che
costerà "più morti di tutte le guerre di indipendenza
messe assieme". Tutti morti gridando "Viva 'o Re" (non è male se
si pensa alle tre F.) e che sfocerà in una emigrazione fino ad
allora sconosciuta.
Settembrini, da sempre oppositore dei regnanti
borbonici, e per
questo considerato un eroe della libertà, diceva nel 1870, a
seguito della deludente politica dei piemontesi, ai suoi studenti:" ...
Figli miei, bestemmiate la memoria di Ferdinando II, è sua la
colpa di tutto questo, ... poiché se egli avesse impiccato noi
altri, oggi non si starebbe a questo; fu clemente e noi facemmo di
peggio"
E fu fatto certamente peggio se si considera nel
libro "Scienza
delle Finanze" di F. Crispi, edizioni Pierro, del 1903, si legge che,
al momento dell'annessione, il tesoro della penisola, in milioni, era
così ripartito:
Regno delle Due Sicilie = 443,2; Lombardia = 8,1;
Ducato di Modena =
0,4; Parma e Piacenza = 1,2; Roma = 35,3; Romagna, Marche ed Umbria =
55,3; Sardegna = 27; Toscana = 85,2; Venezia = 12,7; Totale = 668,4
In conclusione il Regno delle Due Sicilie aveva
più dei
doppio di tutti gli altri Stati messi assieme.
Inoltre il Regno vantava il più grande
monumento alla
solidarietà conosciuto: il grande albergo dei poveri, progettato
dal Fuga, che ospitava nell'edificio, lungo 375 metri e largo 135, fino
a 5000 diseredati offrendo letto, cibo, cure e istruzione.
Completamente diretto da volontari, dopo l'unità diventa centro
di lottizzazione politica, fino a morire per mancanza di fondi.
Ed è ancora strano che in uno stato che
era "la negazione di
Dio fatta sistema", vivessero e venissero a operare artisti quali
Paisiello, Scarlatti, Pergolesi, Bellini, Donizetti (da Bergamo),
Porpora, Leo, Piccinni, Cimarosa, Giordano, Cilea, Alfano, Pacini, per
la musica; letterati quali Mormile e Galiani; per la pittura Solimena,
De Mura, Vaccaro, Bonito, Celebrano; per la scultura Sammartino". E non
mi pare che esistesse un solo quotidiano e per giunta governativo: il
Regno godeva di una libertà di stampa sconosciuta negli altri
stati.
Ritornando all'articolo in oggetto, per
concludere, riconsidererei
l'affermazione "ma in realtà sarà Cavour il primo a
capire la necessità di organizzare il primo trasporto
ferroviario...", quando nell'elenco degli stati che si dotarono di
ferrovia il Piemonte nemmeno compare..
Antonio Nicoletta
Coi Borbone l’opinione era "pro reo"
Relativamente all’attuale gestione della
Giustizia in Italia,
vorrei
fare due citazioni che si riferiscono al Governo "Forcaiolo" dei
Borbone.
Si riporta da: "L’Ordinamento giudiziario nel
Regno delle due
Sicilie" di D. Coppola, nella parte che si riferisce alla Gran Corte
Criminale,: "A parità di voti, veniva adottata l’opinione
favorevole al reo".
E sullo scottante argomento dei pentiti, al
ministro di polizia
Intonti che proponeva di compensare un delatore, Ferdinando II rispose:
"ccà si dammo 'na cosa 'e solde a chi ha 'nventato 'na riunione
'e giacubbini nun se fernesce cchiù; nce zeffonnano sotto 'e
denunzie fauze".
31/08/1997 - Antonio
Nicoletta
Leggo su un quotidiano a tiratura nazionale, un
articolo dal titolo:
"E' il nord che ha imposto al sud l’unità d’Italia"
.
Personalmente, concordo appieno con questo titolo.
Anzi, vorrei ricordare, che quando venne iniziata
l’opera che
doveva
concludersi con l’unità di cui avrebbe sofferto il sud,
nel nord
non era ancora nemmeno unità, in quanto mancava tutto il Veneto,
il Trentino Alto Adige, il Friuli, e più giù, gli Stati
della Chiesa. Non solo un Regno di Sardegna, sabaudo, espansionista e
guerrafondaio che vedeva nelle ricchezze del Sud e subito dopo in
quelle dello Stato della Chiesa un modo di pagare i grandi debiti di
guerra fino ad allora contratti. Ed anche l’adesione degli altri
stati,
ampiamente celebrate su lapidi con prosa retorica magniloquente ed
enfatica, fu frutto del solito, sordido, manipolato plebiscito, frutto
delle trame di pochi, simile a quello che pose il sud nelle mani del
nord.
Ricordiamo le parole che Don Ciccio Tomeo dice al
Principe di Salina
nel "Gattopardo": " Io, Eccellenza, avevo votato no. No, cento volte
no. …..in Municipio s’inghiottono la mia opinione, la
masticano e poi
la cacano via trasformata come vogliono loro. Io ho detto nero e loro
mi fanno dire bianco! …..Il mio no diventa un si. Ero un fedele
suddito, sono diventato un borbonico schifoso…".
Si potrebbe parlare a buon titolo di colonizzazione
piuttosto che di
unificazione. Il sud fu aggregato al nord suo malgrado, con la forza e
con la forza si operò la reazione contro chi non accettava di
essere governato da sovrani stranieri, lontano da loro per lingua e per
cultura. Le grandi capitali del Regno divennero lontane provincie di
uno stato gretto e razzista. Ora il bel gioco è finito!
Gli stessi che causarono tanta perdita di sangue
nostro e loro,
sull’onda di un improvviso, anche se faticato benessere, si
sentono
defraudati dei loro beni, non vogliono spartirli con nessuno.
Come in una commedia, all’italiana, per
l’appunto, dopo
aver sedotto
con la forza (o violentata? ..o stuprata?), la donna, oggetto dei suoi
lascivi desideri di piacere, dopo averne goduto la giovinezza, dopo
essersi appropriato delle sue ricchezze, ad un certo punto ce ne si
stanca. Non la si vuole più, la si vuole rimandare indietro,
immemore dei sacrifici, del lavoro fatto insieme, delle
difficoltà superate assieme, dei figli avuti in questi anni di
sofferta unione
E la si vuole rimandare ai suoi, nuda, dopo averla
depredata delle
sue ricchezze, dopo averla ridotta da donna bella e orgogliosa in una
timida ed esausta. Anche in una commedia all’italiana una
situazione
del genere diventa paradossale. Da commedia, appunto. Ma la vita
è purtroppo una cosa seria. Non possiamo giocare coi Bossi di
turno. Vogliono la separazione, ebbene, che sia!
Venga prima restituito il mal tolto, anche se tante
vite, oltre
cinquecentomila uccisi e deportati nei dieci anni di lotta al
"brigantaggio", i morti sui confini del nord per difendere soprattutto
la loro terra, i cinque milioni che emigrarono fra la fine e
l’inizio
del secolo e le relative rimesse consumate da uno stato sempre
più avido e gretto, i milioni di coloni inviati a popolare le
terre d’oltremare, non potranno essere più restituite.
Che vengano restituiti, debitamente rivalutati i
443,2 milioni di
lire oro che fu il nostro contributo all’unifi-cazione (altri 200
milioni furono rastrellati con la vendita dei beni ex della chiesa),
mentre gli altri stati pagarono: Lombardia 8,2 ml, Ducato di Modena 0,4
ml, Parma e Piacenza 1,2 ml, Roma 35,3 ml, Romagna, Marche ed Umbria
55,3 ml, Sardegna
27 ml, Toscana 85,2 ml, Venezia 12,7.
Vengano restituite le nostre opere d’arte
confiscate e
deportate,
appartenenti ai Farnese e Borbone e per essi al popolo del sud.
Siamo d’accordo per la separazione, nel corso
della nostra
lunga
storia siamo stati capaci di affrontare e risolvere situazioni ben
più critiche.
Al riparo da uno stato falsamente assistenzialista,
sapendo di dover
contare sui nostri mezzi, sapremo ribaltare la situazione, e rendere il
nostro sud, vera nazione fin dal tempo dei Conti Normanni, nella
memoria del suo grande passato, centro dell’antico Mediterraneo e
suo
punto di riferimento politico e culturale, ancorchè economico.
Antonio Nicoletta

Un lettore (ed accademico dei Lincei) in una sua
lettera pubblicata
da un quotidiano a tiratura nazionale, trova facile trasformare in uno
sciocchezzaio tutto quanto non lo trova d’accordo ed in maniera
delirante riconduce semplicisticamente ad un solo fattore le numerose,
com-plesse, cause che determinarono la grande emigrazione della gente
del Sud iniziata dopo la colonizzazione savoiarda e che ebbe il suo
massimo a cavallo del secolo.
Trova sciocche le critiche ai Savoia, trova
sciocche le esaltazioni
dei Borbone (non Borboni), e non trova, invece, sciocco, né
ritrovare "…in un po'd’igiene…" il fattore
scatenante il
sovrappopolamento delle regioni del Sud, né le sue arzigogolate
conclusioni del tipo "Donde, necessariamente, l’emigrazione".
Se, invece di pavoneggiarsi beandosi della sua
partigiana ed
approssimativa conoscenza della storia, avesse avuto
l’umiltà di
leggere i documenti (dico documenti) relativi al periodo che pretende
di discutere, non avrebbe avuto la necessità di ricorrere ai
luoghi comuni che, diffusi con abbondanza di mezzi e proterva costanza
da massoni, inglesi, piemontesi e fuoriusciti, hanno sistematicamente
gabellato i Savoia vincitori "santi" ed i Borbone vinti "diavoli".
Avrebbe potuto cogliere che le grandi emigrazioni
furono
l’unica e
dolorosa soluzione di vita per un popolo che da un momento
all’altro si
vide privato del Regno e delle capitali e predato dei capitali, delle
industrie, dei commerci, delle provvidenze con cui uno stato già
allora sociale veniva incontro ai bisogni del suo popolo e che ebbe in
cambio nuove tasse ed un impoverimento generale e diffuso.
Esse non furono il frutto della "nuova igiene" nata
da un nuovo
senso della pulizia (dalla pulizia etnica, poi liquidata come lotta al
brigantaggio, forse si) e portata da quei nuovi alfieri della
civiltà che depredarono ad oltranza tutto il Sud. E mi pare
inopportuno attribuire grandi meriti di civiltà a chi
avvallò e premiò (con la Croce di Grand’Ufficiale
dell’Ordine Militare dei Savoia, ed in seguito con la nomina a
senatore) il Gen. Fiorenzo Bava Beccaris, autore dell’eccidio che
costò la vita a 80 operai manifestanti (e con oltre 450 feriti.
Ma pare che i numeri fossero più elevati).
Antonio Nicoletta
Prendo spunto da una lettera con la quale un
lettore su un
quotidiano a tiratura nazionale, stigmatizza il comportamento dei
leghisti, che, se pronti ad accorrere in difesa dei minacciati dal
misterioso assassino sui treni liguri, non lo sono stati altrettanto a
soccorrere i paesi inondati nel salernitano. Si evidenzia così
un comportamento da stranieri verso gli Italiani, anzi, si fa risaltare
che una parte di aiuti, anche in veste di soccorritori, sono stati
forniti dai soldati americani, mentre non una parola di
solidarietà è stata udita uscire da bocca leghista.
Questo loro estraniarsi è un ennesimo atto di insofferenza da
parte di un nord che appena si è visto gratificato da
circostanze favorevoli che li ha messo in condizione di poter lavorare
e produrre, non ha più tollerato la presenza della gente del sud
(forzosamente fratelli poveri) nella stessa nazione che loro hanno
voluto. Ci rimproverano di esistere: e si dimenticano che la nostra
esistenza, almeno nei termini di Italiani, a loro legati, loro
malgrado, nel concetto e nella sostanza di Patria, è stretta
conseguenza di quel processo di colonizzazione, millantata come unione,
che ebbe inizio nella notte dal 5 al 6 maggio 1860. I 1089 volontari
che seguirono Garibaldi e diretti a compiere l'ultimo atto, frutto e
compimento delle manovre che i savoiardi avevano già iniziato da
alcuni anni di concerto con gli Inglesi, i Francesi ed i fuoriusciti,
erano in maggioranza settentrionali. Per curiosità riportiamo
alcune cifre: centosessanta erano bergamaschi, centocinquantasei
genovesi, settantadue milanesi e undici degli Stati pontifici,
più alcuni veneti; diciotto erano stranieri, fra cui gli
ungheresi Eber, Erbhardt, Magyarody, Túrr, Túchkory; i
polacchi Laugò e Milbitz; il turco Kadir Bey; il francese Maxime
du Camp; gli inglesi Forbes, Speeche e Peard. I napoletani erano oltre
quaranta, i siciliani, una cinquantina. I volontari, erano quasi tutti
giovani, molti al di sotto dei vent'anni, non c'era un solo contadino;
provenivano per circa la metà, dal proletariato urbano; l'altra
metà comprendeva soprattutto studenti che in seguito divennero
professionisti, e cioè medici, ingegneri, avvocati, professori,
artisti, giornalisti. Sono venuti e ci hanno portato la
"libertà"; ci hanno imposto (con le armi, sanguinosamente) la
loro presenza. Ora il frutto della loro "bravata" non li soddisfa
più e vogliono buttarlo. Per motivi diversi e secondo una ottica
diversa concordo con loro, ma non esistono più, purtroppo, le
condizioni o sarebbero troppo aleatori i risultati di una divisione.
Poiché se è questo che si vuole, io penso che il maggior
vantaggio l'avremmo noi. Intanto avremmo già uno Stato a cui far
riferimento; un Regno delle Due Sicilie è esistito, era grande,
era importante, era ricco, e relativamente alla sua epoca, era giusto.
Non dovremmo inventare niente, né territori mitici, né
deliranti cerimoniali, né popoli uniti solo dall'insofferenza,
dall'egoismo e dal razzismo. Abbiamo vissuto e potremmo ancora
insegnare la pacifica convivenza fra popoli. La contemporanea presenza
sul nostro territorio di bizantini, arabi e normanni è storia ed
è storia la grande eredità di cultura e di pacifismo nato
e sviluppato da queste grandi irripetibili esperienze.
Le camicie verdi meditino ed imparino.
Antonio Nicoletta
A 135 anni dalla caduta del Regno delle Due Sicilie
e dalla partenza
dell’ultimo Re Borbone, ancora taluni citano quei Re e quel Regno
quando vogliono evidenziare fatti e similitudini negative.
Sul numero 1 del 1997 della rivista "Sorrisi e
Canzoni TV" a pag. 7
una finestra titola: "1997: Diamoci da fare - Ma tutto è
già accaduto". A fianco di una romantica figura in divisa (che
non rappresenta certamente Ferdinando II delle Due Sicilie, come dal
testo si potrebbe interpretare, bensi forse lo zar Nicola) si legge fra
l’altro, "Ferdinando II, il Borbone, per tenere tranquilli i
napoletani
ricorreva, come è noto, a tre F: forca, festa, farina."
Certamente su questo l’unica cosa vera è che "è
noto",
infatti, ripeto, da 135 anni non si tralascia occasione per ripetere e
diffondere ingiurie, calunnie, menzogne sul Governo e sulla Dinastia
Borbonica. E se mentre questo esercizio aveva una ragione
nell’immediata post-unità in quanto doveva giustificare
un’aggressione ed un’annessione proditoria e non voluta,
conclusione di
una guerra mai dichiarata, seguito di una preliminare campagna
diffamatoria, non vedo oggi, ripeto a 135 anni di distanza, come uomini
di cultura si adagino ancora su frasi fatte ed aneddoti che molte volte
non hanno alcuna validità storica.
Riguardo alla Forca, "il numero di grazie concesse
da Ferdinando II
rispetto all’esiguo numero di esecuzioni fu incredibilmente
grande ed
è ancora più sorprendente se raffrontato al medesimo
argomento in casa piemontese". Ricordiamo che allora ed in tutta
Europa, l’opposizione politica era sistemata con la forca, la
mannaia o
la fucilazione. Luigi Settembrini, "patriota e perseguitato politico",
che nelle carceri borboniche scrisse le sue "Ricordanze" diceva, dopo
l’unificazione, verso il 1870, in una lezione agli studenti:
"Figli
miei, bestemmiate la memoria di Ferdinando II, è sua la colpa di
questo" ed allo stupore di questi, aggiungeva:" Se egli avesse
impiccato noi altri, oggi non si starebbe a questo; fu clemente e noi
facemmo peggio". Per il resto citeremo ancora Settebrini: "Tre cose
belle furono in quell’anno (1839), le ferrovie,
l’illuminazione a gas,
e te voglio bene assaje(la canzone) ".
Ameremmo che fossero qualche volta menzionati
riferendosi ai Borbone
Due Sicilie i fatti positivi ad essi legati: Al ministro di polizia
Intonti che proponeva di compensare un delatore rispose: "ccà si
dammo 'na cosa 'e solde a chi ha 'nventato 'na riunione 'e giacubbini
nun se fernesce cchiù; nce zeffonnano sotto 'e denunzie fauze".
Realizzò mirabili ed imponenti opere
pubbliche, fece
costruire scuole, accademie, porti, ospizi, fu liberale protettore
delle arti. Assieme a comprensibili reazioni (sempre riferite al tempo)
che manifestò negli ultimi anni del suo regno, egli per il suo
popolo fece così tanto da restare nella storia, e non per le tre
F.
Antonio Nicoletta
La stampa di questi ultimi giorni riporta, con
sempre maggior
frequenza, notizie che confermano quanto da lungo tempo penso e dico, e
cioè che da sempre l'Italia è un coacervo di stati
"appiccicati" fra loro con l'inganno e con la forza e con l'inganno e
la forza mantenuti insieme. E' nota oramai la spinta restauratrice di
alcune associazioni cultural politiche che auspicano il ripristino
degli "staterelli" ante unità. E non so quanto valida sia
l'iniziativa presa proprio in questo momento storico di riesaminare la
possibilità del rientro in Italia dei Savoia, artefici di questa
artefatta unità, visto che da più parti arrivano spinte
separazioniste e restauratrici di, e cito solo alcune, "Serenissima
Repubblica Veneta", "Regno delle due Sicilie", "Granducato di Toscana",
"Ducato di Parma Piacenza e Guastalla", "Stato Pontificio" e mettendo
addirittura in forse, dandone una diversa e più giusta
interpretazione, il pensiero di Cattaneo che auspica una libera
federazione di Stati, collegati non al Piemonte, ma all'Austria.
D'altronde la notizia dell'ultimo giorno, relativa alla "dichiarazione
di indipendenza" con le sue più che legittime motivazioni,
presentata dalla Provincia di Ragusa, la dice lunga sullo stato di
malessere che questo mosaico di cultura, storia, usi, costumi, per
tanti versi eterogeneo, ha nei confronti della "Nazione Italia".
Credo che tutto questo dovrebbe farci riflettere.
Antonio Nicoletta

La grande intuizione di Garibaldi
Nella rubrica "Lettere al Direttore" di un
quotidiano a tiratura
nazionale, leggo a proposito della "Grande intuizione di Garibaldi" la
frase " ..per liberare la Sicilia dai Borboni..."detta da un lettore e
ripetuta poi nella risposta a proposito dell’intendimento di
Crispi di
"liberare la Sicilia dalla tirannide borbonica..". Intanto mi pare che
Borbone sia nome di una famiglia, come Farnese, Savoia, Colonna, e non
mi risulta che riferendosi a queste ultime si dica Farnesi, Savoi, o
Colonni etc.
Entrando più nello specifico, come
più volte ho avuto
opportunità di dire, la liberazione è un concetto del
tutto opinabile poiché si libera uno stato da una dittatura o da
una occupazione conseguente ad un’invasione straniera. Per quanto
mi
risulta il regno delle Due Sicilie, e la Sicilia per esso, non
soffriva di quest’ultima, poiché il Regno, risalente al
Gran
Conte Ruggiero che nel 1130 ne unificò le terre ponendo i
confini che si mantennero fino al 1860, ebbe sempre un continuum
organico di Governo che passò dai Normanni agli Svevi, agli
Angioini, agli Aragonesi, - quindi alla Spagna - e per essa al governo
dei Vicerè, fino a quando, nel 1734, dopo un breve vicereame
austriaco che nessun riflesso lasciò nella storia
plurisecolare del Regno, ebbe finalmente un nuovo Re nella persona
di Carlo III, iniziatore della Dinastia Borbone due Sicilie. I Borbone,
come tali, governarono per circa 130 anni. Non si può, certo, di
fronte alla storia, pensarli come occupanti occasionali.
E per quanto riguarda la dittatura, il periodo
in cui i Borbone
governarono era un periodo - malgrado i grandi fermenti che già
iniziavano - in cui quasi tutti i governi, monarchici, erano
assolutisti. La liberalizzazione con un Governo Costituzionale era
già frutto in maturazione, ovviamente fra mille
difficoltà, tentennamenti, ripensamenti.
La storia comunque avrebbe seguito il suo corso.
In ogni caso non fu mai il popolo che si
sollevò, ma solo una
parte di quell’intellighenzia e nobiltà che già
mirava
alle nuove poltrone da occupare, come di fatto poi avvenne, delusa dai
ridimensionamenti che il Re aveva avviato e che li riguardava.
Antonio Nicoletta
Caro Direttore, la conquista del Sud, oltre ad
operare tabula rasa
sulla toponomastica borbonica, ha cancellato ogni ricordo anche nel
confronti del patrimonio artistico, museale e teatrale del Regno. Oggi
esistono gli attributi "Farnese" "d'Este" "Sforzesco" "Gonzaga" etc.
riferiti a teatri, palazzi, gallerie mentre p.e. "Borbonico" è
stato cancellato dal "Regio Museo" di Napoli che è diventato
"Museo Nazionale", rimanendo però pervicacemente attaccato ad
indicare alcune carceri (Catania, Siracusa, Caltagirone, Porto Santo
Stefano). E' impressionante come tale aggettivo continui ad essere
utilizzato solo in chiave negativa anche quando ci si riferisce
all'operato di uomini che fanno parte di una burocrazia che tutto
è fuorché borbonica. Su "Il Giornale" di oggi si legge:
"A Bolzano e dintorni abbiamo impiantato una burocrazia borbonica...).
Non ci risulta che lo Stato Borbonico abbia mai svolto politica
colonizzatrice. Ci si potrebbe riferire con più ragione a quella
burocrazia piemontese profetizzata da Francesco Il nel suo ultimo
proclama: "Sparisce sotto i colpi dei vostri dominatori l'antica
monarchia di Ruggiero e Carlo III, le Due Sicilie sono state dichiarate
provincie di un regno lontano. Napoli e Palermo saranno governate da
prefetti venuti da Torino". Della burocrazia napoletana dice Giovanni
Nicotera, uno dei sopravissuti di Sapri: "Il governo borbonico
manteneva la legalità ed il rispetto della magistratura e nei
processi politici hanno mostrato maggiore indipendenza gli antichi
tribunali rispetto ai nuovi:"
Chiudo citando ancora Savarese: "da Garibaldi in
poi si è
pensato a distruggere e non già ad edificare" riferito
naturalmente al modo di governare.
Antonio Nicoletta
Caro Direttore, ho visto utilizzare, in un
articolo comparso sul
vostro quotidiano, per definire il basso profilo dell'amministrazione
fiscale italiana, l'aggettivo "Borbonico". Mi chiedo se non sia
arrivato il momento di dismettere tali luoghi comuni anche alla luce di
verità storiche per troppo tempo ormai taciute.
A parte i vari meriti che l'amministrazione
borbonica poteva vantare
nel campo dell'economia, dell'industria, del sociale etc. - dice
Giacomo Savarese, liberale economista insigne, in un libro pubblicato
nel 1862 sullo stato della finanza napoletana: "Il principio
governativo ... è stato costantemente quello di non gravare i
popoli di nuovi tributi, ma al contrario di scemare gli antichi ... che
la stabilità dei governi riposasse principalmente sul rispetto
della proprietà privata; ... per domandare al cittadini i minori
sacrifizii possibili a nome dello stato. Or se vi è un paese
dove questa regola sia stata sempre applicata, noi non temiamo di
affermare che questo paese è stato il Regno delle due Sicilie,
la cui amministrazione per questa parte, noi possiamo avere il
legittimo orgoglio di citare come esempio degno di essere imitato."
A completamento di informazione diremo che
soltanto cinque erano le
tasse che si pagavano nel Regno: Contribuzione fondiaria, Dazi
indiretti, Registro e bollo, Lotterie, Poste e procacci. Va da
sé che i meno abbienti non erano tassati. In un solo anno, nel
1861 (dopo la conquista piemontese) le tasse aumentarono con
l'introduzione di altre 36 .. e da allora non si è più
smesso.
Antonio Nicoletta
Ad un lettore di Treviso che su un quotidiano
nazionale rimbecca un
lettore di Palermo asserendo che se anche è vero che nel sud
della Magna Grecia le donne vestivano di seta mentre nel nord si
abitava in caverne e si vestiva di pelli, ora il nord (grazie tante)
sovrasta il sud per presenza di teatri, stilisti di moda,
attività lavorative etc.
A vrei voluto vedere se la cosiddetta unità
di Italia fosse
stata realizzata al contrario, anzi, meglio, se il Sud, quello della
Magna Grecia, quello degli Arabi, quello dei Normanni e degli Svevi,
quello di Federico II, quello che aveva il primo parlamento mentre nel
nord ancora si andava in giro coperti di pelli e si abitava in grotte,
fosse stato lasciato libero di vivere la sua vita, di seguire il suo
percorso di civiltà, di continuare la sua storia senza aver
dovuto pagare il suo tributo di denaro e di sangue ad
un’unità
certamente non voluta dalla maggioranza del popolo, e che è
servita solo a camuffare spoliazioni in termine di denaro, opere
d’arte, macchinari, intelligenze.
Vorrei vedere dicevo, se il nord potrebbe ancora
vantare con tanta
sicumera e leggerezza il primato nei teatri (ricordatevi che il San
Carlo di Napoli (costruito nel 1737) era conosciuto in tutto il mondo
quando ancora la Scala nemmeno esisteva (nasce nel 1778), nelle
industrie, nate anche grazie alla spoliazione delle fabbriche di
Pietrarsa, San Leucio, Ferdinandea, e grazie alle commesse privilegiate
e della protezione del nuovo stato unitario a tutto svantaggio del
meridione. Per quanto riguarda la moda, le stesse industrie e tutto
quanto costituisce motivo di vanto dell’amico di Treviso,
è
certo che tutto è solo frutto del lavoro e delle intelligenze
padane? Ci pensi, e pensi che non tutta la mafia nasce e vive nel
meridione, ma esistono tanti altri tipi di mafia in colletto bianco e
in doppio petto, anche nel nord, che consente l’esistenza e lo
sviluppo
di quella del sud.
Antonio Nicoletta
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