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"Liberazione" - 24 dicembre 2002
I
Savoia tornano in Italia
«Ma
quali eroi risorgimentali!»
Intervista a Lorenzo Del Boca, presidente
dell'Ordine nazionale dei giornalisti, autore del libro "Maledetti
Savoia"
«La visita dei Savoia al Papa? Harry Potter di sicuro
è più divertente. Trovo che tutto questo gran parlare del
ritorno dell'ex casa regnante italiana sia stato una perdita di
tempo». Più che degli aspetti giuridici e politici della
riammissione della dinastia sabauda in Italia, Lorenzo Del Boca,
presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti, preferisce discutere
del mito risorgimentale che ammanta ancora oggi gli ex sovrani.
Allo smascheramento della retorica che spaccia i re piemontesi come
fondatori dell'unità nazionale, Del Boca ha dedicato un
voluminoso pamphlet, Maledetti Savoia (Edizioni Piemme), in cui ha
messo allo scoperto la vocazione affaristica e speculativa, la caratura
morale non sempre "elevata", i gretti interessi dinastici dei sovrani
sabaudi.
Tema centrale - lasciando però da parte la compromissione con il
fascismo e le leggi razziali - è il carattere annessionistico
con il quale nel Risorgimento il meridione è stato inglobato
nello Stato unitario.
«Il Piemonte - con la sua rete di funzionari, portaborse e
burocrati onnivori - lasciò il Meridione conquistato - scrive
Del Boca - avvilito, depresso e derubato di ogni avere. Con la scusa
dell'unità d'Italia rubarono tutto. E dove non riuscirono a
battere moneta secondo i loro desideri, per insipienza e
imbecillità distrussero le attività economiche che,
nonostante tutto, funzionavano».
Come giudichi l'abolizione della
disposizione transitoria della Costituzione che proibiva il soggiorno
in Italia dei discendenti maschili di Casa Savoia?
Sono un garantista e, oltre a ciò, penso che le colpe commesse
dai genitori non debbano ricadere sui figli e sui nipoti. Tra l'altro,
quella disposizione aveva un carattere "maschilista". Proprio mentre le
donne si affacciavano sulla scena politica, si limitava il divieto
soltanto ai discendenti maschi come se soltanto dai maschi potesse
venire un pericolo per la Repubblica. Forse andava abolita prima. Si
sarebbe dimostrata la solidità - e superiorità - del
sistema repubblicano senza tutta questa perdita di tempo.
Al di là dei pericoli reali non
trova preoccupante il clamore accordato dalla stampa al rientro dei
discendenti che potrebbe fare da tramite a una legittimazione storica
dei Savoia?
Innanzitutto, questa attenzione ai particolari mondani,
all'abbigliamento, ai gioielli indossati, trasforma l'informazione in
un vero gossip. E' un avanspettacolo. Personalmente a Emanuele
Filiberto preferisco le satire di "Quelli che il calcio... " o di
Francesca Reggiani. Ma il problema principale è la distorsione
della storia, il mito che trasforma i Savoia in eroi risorgimentali.
Anche il Dna ha il suo peso. Se Vittorio Emanuele III ha accettato il
fascismo e firmato le leggi razziali, Vittorio Emanuele II non è
stato da meno.
Tanto per avere un'idea del primo sovrano dell'Italia unita basta
ricordare il libro di Silvio Bertoldi (storico peraltro vicino alle
suggestioni delle insorgenze locali, ndr), Il Re che fece l'Italia. Pur
non essendo un autore ipercritico come me nei confronti dei Savoia,
racconta delle ricchezze personali accumulate dal sovrano e tenute in
cassaforte, qualcosa come 250 mila miliardi attuali.
E poi gli intrighi internazionali per sistemare il secondogenito al
trono vacante di Spagna... In sostanza, i Savoia non volevano fare
l'Italia, volevano ingrandire il loro regno e accrescere il patrimonio.
Come mai i lombardi che con tanto entusiasmo si sollevarono contro gli
austriaci nelle cinque giornate di Milano, poi divennero neutrali, se
non ostili persino, nei confronti dell'esercito piemontese di Carlo
Alberto?
L'ardore rivoluzionario del 1848 si spegne nel '49. Per non parlare del
sud che fu annesso con la forza delle baionette, quasi come si
trattasse di una guerra coloniale, dei massacri di Pontelandolfo e
Casalduni, dell'incomprensione linguistica tra piemontesi e napoletani.
La stessa spedizione dei Mille nasconde molte ombre. Solo tre anni
prima, nel 1857, Carlo Pisacane era stato massacrato dai contadini
senza che ci fosse bisogno dell'intervento dell'esercito borbonico.
Invece Garibaldi, con un numero di uomini di poco superiore, male
armato, inefficiente, riuscì nel 1860 a sbarcare indisturbato a
Marsala e ad arrivare fino a Napoli.
Nella battaglia di Catalafimi, tanto celebrata nella retorica, ci
furono soltanto 32 morti. La verità è che l'esercito
borbonico si defilò senza sparare un colpo contro i garibaldini.
Del resto, non è un mistero che la massoneria inglese abbia
finanziato Garibaldi con una somma equivalente a 50 miliardi, parte dei
quali destinati alla corruzione di ammiragli e ufficiali borbonici.
Si ammettono i Savoia, quindi, ma non
la verità storica?
Credo che sul piano del diritto fosse giusto discutere delle
disposizioni transitorie della Costituzione e che su quello politico
sia stato addirittura autolesionista ritardare così a lungo il
dibattito sul rientro. Ma - ripeto - il problema più grande
è quello della verità storica.
La storia non può essere falsata. I Savoia rientrino pure ma
portino con sé l'archivio storico che hanno sottratto alla vista
degli studiosi.
Tonino Bucci
