Vittorio Bodini
Roma, settembre
2004
Ho
conosciuto inizialmente l'opera del poeta Vittorio Bodini grazie
alla sua mirabile traduzione per le edizioni Einaudi del Don Chisciotte
di Cervantes. Credo sia uno dei poeti maggiori del novecento e nel
trascrivere alcune sue poesie ho aggiunto una nota di Rossano Astremo
che è assai utile alla conoscenza del Bodini.
Sebastiano Gernone
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Per evitare
problemi di copyright siamo stati costretti a pubblicare soltanto
alcune delle poesie postate dall'amico Gernone nella mailing list
ddojesicilie
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Rossano Astremo
Vittorio Bodini e la triste condizione
della dimenticanza
Per chi, come il sottoscritto, è nato e cresciuto nel sud, la
progressiva dimenticanza di un sublime poeta e di uno squisito
intellettuale quale Vittorio Bodini genera pur sempre
perplessità e sdegno. Basta sottolineare il fatto che nelle
principali antologie poetiche del Novecento (quelle curate da Mengaldo,
Anceschi e Sanguineti, solo per citarne alcune) il nome di Bodini
è assente, così come quasi totalmente assente è la
rigogliosa tradizione poetica meridionale.
Le ragioni sono molteplici e, certamente, non da affrontare in questa
sede, dove invece mi soffermerò a riflettere sulla figura dello
scrittore Bodini.
Bodini è nato da genitori leccesi il 6 gennaio del 1914 a Bari,
ma ancora in fasce viene portato a Lecce. A diciotto anni fonda un
gruppo futurista. Nel 1937 si iscrive alla Facoltà di Filosofia
di Firenze, dove si laurea nel 1940. Tornato a Lecce, con Oreste
Macrì, cura la terza pagina di 'Vedetta Mediterranea', poi
collabora a 'Letteratura', pubblicando le prime poesie, aderisce al
movimento 'Giustizia e Libertà' e si inserisce in 'Libera Voce'.
Nel 1946 si trasferisce in Spagna come lettore d'italiano e poi
antiquario. Nel 1950 rientra a Lecce e dopo due anni ha la cattedra di
Letteratura Spagnola presso l'Università di Bari. Nel 1954 fonda
'Esperienza Poetica' che vive due anni. Continua ad avere rapporti
stabili con il Salento, anche se negli ultimi dieci anni si è
trasferito a Roma, dove muore il 19 dicembre 1970.
Bodini ha dato vita ad eccellenti traduzioni del Don Chisciotte di
Cervantes, del Teatro di F.Garcia Lorca e di I poeti surrealisti
spagnoli, tutte uscite con Einaudi, è autore di numerosi scritti
in prosa, via via dimenticati, ma oggi riscoperti grazie all'attento
lavoro della casa editrice Besa e del docente universitario Lucio
Antonio Giannone, ma soprattutto Bodini è autore di pochi, ma
preziosi libri di poesia.
Da ricordare La luna dei Borboni ( 1952), Dopo la luna (1956), Metamor
(1967) e Poesie(1972, postuma), raccolta di testi uscita per Mondatori
e negli ultimi anni ripubblicata da Besa. Una corretta interpretazione
della poetica di Bodini si può effettuare considerando la
continua attrazione tematica del sud.
Proprio questa necessaria dimensione memoriale allontana Bodini
dall'oscuro ermetismo post guerra, avvicinandolo ad una struttura in
versi più vicina alla testimonianza:"Un paese che si chiama
Cocumola / è / come avere le mani sporche di farina / e un
portoncino verde color limone. / Uomini con camicie silenziose fanno un
nodo al fazzoletto / per ricordarsi del cuore / Il tabacco è a
secare, / e la vita cocumola fra le pentole / dove donne pennute
assaggiano il brodo".
Esempio questo testo della polarizzazione bodoniana tra le maglie
ispide dell'oscura significazione ermetica (i primi 4 versi) e il ritmo
più agile e distensivo che si percepisce nella delineazione di
un ricordo ( come dimostrano i versi successivi).
Ma il sud, l'estremo lembo di terra nel quale Bodini ha vissuto gran
parte della sua esistenza, è anche tema denso di tristi
riflessioni e di dolori esistenziali lancinanti: " Qui non vorrei
morire dove vivere / mi tocca, mio paese, / così sgradito da
doverti amare; / lento piano dove la luce pare / di carne cruda / e il
nespolo va e viene fra noi e l'inverno.// Pigro / come una mezzaluna
nel sole di maggio, / la tazza del caffè, le parole perdute, /
vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano: / divento ulivo e
ruota di un lento carro, / siepe di fichi d'India, terra amara/ dove
cresce il tabacco. / Ma tu, mortale e torbida, così mia /
così sola / dici che non è vero, che non è tutto.
// Triste invidia di vivere, in tutta questa pianura / non c'è
un ramo su cui tu voglia posarti".
Bodini è poeta dalla sensibilità estrema, supremo cantore
di un sud mitico, ancestrale, ma, nel contempo, limitante e castrante.
I suoi versi sono tra i migliori prodotti della poesia meridionale del
Novecento e si spera che la critica letteraria presto renda merito ad
una voce che il peso del tempo ha seppellito senza giusta ragione.
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Da La
luna dei Borboni di Vincenzo Bodini
La luna dei Borboni
col suo viso sfregiato tornerà
sulle case di tufo, sui balconi.
Sbigottiranno il gufo delle Scalze
e i gerani - la pianta dei cornuti -,
e noi, quieti fantasmi,
discorreremo dell' unità d' Italia.
Un cavallo sorcigno
Camminerà a ritroso sulla pianura.
*) il geranio non è riuscito
a salvarsi. Ma perché pianta dei cornuti? Penso per associazione
d'idee con le donne che passano molte ore affacciate ai balconi o alle
finestre dove i gerani sono immancabili (Vittorio Bodini)
Un campanile di sughero
verso i capelli corti della luna
ghiotta d'angurie. Un grande carro fermo
ai passaggi a livello,
fra gli orti coi piselli calpestati
di nottetempo. Dorme
il carrettiere o non dorme,
bocconi
con il capo fra le braccia,
e il fanciullo covava
il desiderio inquieto dei pidocchi
al passaggio del treno verso il Nord.
Cade a pezzi a quest'ora sulle terre del Sud
un tramonto da bestia macellata.
L'aria è piena di sangue,
e gli ulivi, e le foglie del tabacco,
e ancora non s'accende un lume.
Un bisbigliare fitto, di mille voci,
s'ode lontano dai vicini cortili:
tutto il paese vuole far sapere
che vive ancora
nell'ombra in cui rientra decapitato
un carrettiere dalle cave. Il buio,
com'è lungo nel Sud! Tardi s'accendono
le luci delle case e dei fanali.
Le bambine negli orti
ad ogni grido aggiungono una foglia
alla luna e al basilico.
I preti di paese
hanno le scarpe sporche
un dente verde e vivono
con la nipote.
Presso cassette vuote
d'elemosina
sanguina Cristo in piaghe
rosso borbonico;
esala un'agonia
dura dai banchi
e dai fiori di campo.
In piazza, accoccolati
sulle ginocchia del Municipio,
stanno i disoccupati
a prendere l'oro del sole.
Trotta magro e sicuro
un gatto nel Sud nero.
Qui non vorrei vivere dove vivere
mi tocca, mio paese,
così sgradito da doverti amare;
lento piano dove la luce pare
di carne cruda
e il nespolo va e viene fra noi e l'inverno.
Pigro
come una mezzaluna nel sole di maggio,
la tazza di caffè, le parole perdute,
vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano:
divento ulivo e ruota d'un lento carro,
siepe di fichi d'India, terra amara
dove cresce il tabacco.
Ma tu, mortale e torbida, così mia,
così sola,
dici che non è vero, che non è tutto.
Triste invidia di vivere,
in tutta questa pianura
non c'è un ramo su cui tu voglia posarti.
E infine aranci imbandierati e carichi,
spine e raffiche
di dolcezza nei fichi d'India, uomini
traballanti sui carri
vuoti
per caricare il tufo dalle cave,
col cane morto di sonno.
E stagioni dal becco sottile
di cicogna, che si spulciano il petto,
che prendono pietre da terra
e le buttano più in là.
da "Dopo la luna"
1952-1955
Sto davanti alla tua caverna
Sto davanti alla tua caverna.
Esci fuori e arrenditi.
Noi abbiamo la sintassi e la radio,
i giornali e il telegrafo,
e tu non vivi che del mio sonno,
non hai che la roccia a cui ti tieni abbrancato,
e per farmi dispetto
non mi rispondi nemmeno.
Come farò
Come farò
a diventare antico
almeno fino ai secoli in cui un demone
sveniva in ogni bianco giglio
e l'universo era già tutto scritto
in un rampante agreste mosaico?
Essere un angelo che dice
dalla bocca Iesu Iesu in un dorato cartiglio
al tempo delle pietre preziose che avvelenavano.
Lasciatemi uscire da questa vita,
non dalla vita, signor Cristo.
Vi sono anime fatte per domandare
e altre per rispondere:
la mia è una persiana verde con due occhi dietro,
la mia è un remo rosso tra i vivai di cozze
che il pescatore aggira sullo Ionio
lentamente immergendolo
in quell'azzurro che non sa mentire.
Da:
"Serie stazzemese", 1961
La verde noia uccide
I muschi, il capelvenere,
le testoline rosse delle more,
la polla che in silenzio
muove la bocca tremula
come vana figura
che s'allontana in sogno
ogni privata vicenda
hanno disperso. Chiedersi
" a che punto sono con me stesso? ",
non ha senso.
La verde noia uccide
gli idolatrici cuori.
Scivola il sandalo
dal piede,
ghermisce la giacca
Mostri
Son tornati la morte e il malumore.
Le capre all'impazzata
girano per il monte
e un serpente piumato,
di gomma, è accovacciato
al centro della via.
un rovo.
Eccomi divenuto
bosco. Sarò
solo un filo fra i tanti
di questo verde arazzo dietro il quale
una pastora invisibile
implora un'invisibile capra.
da
"Inediti", 1954-1951
Come un ago che entrasse nel nostro corpo
Come un ago che entrasse nel nostro corpo
senza parole
munito sulla punta
di un occhio con cui guardare e trasmettere
come un ago penetra nella buia stanza
una sonda di nichel dal soffitto
o dal pavimento?)
serpe d'argento il cui veleno è soltanto il suo sguardo
che sentiamo su noi senza vedere
come un respiro un po' tardo
Immobili non sappiamo se la notte là fuori
neghi ai mandorli mance d'oro o
azzurrini monti
se il cielo erediti una stella
ruota il serpe e trasmette
quanto abbiamo di mobili
quanto di tristezza negli armadi
(persino) gli spiccioli del coraggio
o il sudore dell'angoscia e nel cassetto
le prove dei crimini inconfessati
da: "Zeta", 1962-69
Le mani del Sud
a Rafael Alberti
Hai fatto bene dice a non parlarmi del Sud del
Sud e delle sue brulle capre saltellanti
di scoglio in scoglio
O le pallide mani delle capre del Sud
Hai fatto bene dice a non parlarmi del Sud del
Sud e delle sue capre per metà divorate
dallo Stato
O le candide unghie delle capre del Sud
Hai fatto bene dice a non parlarmi del Sud del
Sud e dei suoi orizzonti un tempo aperti
da ogni lato
O le pallide unghie con cui ciascuno si dilania nel Sud
Hai fatto bene dice a non parlarmi del Sud del
Sud e dei suoi braccianti uccisi dalla
polizia
O le pallide mani un po' grassocce dei Tribunali
del Sud gli olivi dal cuore umano l'accusare
e accusarsi senza pietà Il grande Sud delle
questioni di principio
Hai fatto bene a non parlarmi del Sud
15 gennaio 1969
Il destino dell'uomo
Quando dai pomodori uscirà il sangue
il destino dell'uomo sulla terra
sarà segnato
Gli animali che hanno per vita privata un continente
grattacieli d'arnie o l'insonne arabesco
saranno nei tuoi occhi come un campo da tennis
Gli ingegneri si rompono senza un grido
Avran le sere cere minuziose
sere dal volto aguzzo inesatte chimere
Sono i calici d'ombra
Sono i calici in fiamme
Il vuoto dei manichini attirerà le montagne
1962-1969
I febbraio 1969
